Il messaggio di posta elettronica semplice, non certificato, ha valore di prova?
Stiamo parlando di tematica che suscita sempre più grande interesse, visto l’uso generalizzato e quotidiano della posta elettronica, in tutti i contesti personali e professionali, e dunque anche nel mondo del lavoro, dove solo per le comunicazioni formali è stata sostituita dalla posta elettronica certificata. Perciò comprendere bene quale possa essere il valore che la posta elettronica semplice assume nei quotidiani rapporti tra le parti, ed un domani all’interno di una controversia, risulta assai determinante. La tematica trova, in termini riepilogativi, chiare e precise indicazioni da parte della Corte di Cassazione in una recente Ordinanza, la N° 25131 del 18 settembre 2024, all’esito di un giudizio intrapreso da un socio, poi liquidatore della società, avverso una sentenza di appello a lui sfavorevole.
La vicenda contenziosa nasce quando il socio, già amministratore della società, conveniva in giudizio il commercialista della compagine, ascrivendo al professionista avere cagionato un danno alla società; l’addebito mosso al professionista si è sostanziato nel non aver inserito nel bilancio di liquidazione della società il reddito d’imposta Irap e Ires -così da impedirne il recupero-, e poi nell’averla mal rappresentata dinanzi la Commissione Tributaria Regionale, senza neanche informare l’amministratore dell’esito negativo del giudizio, sì da precluderne il ricorso in Cassazione. Il commercialista, dinanzi al giudice di merito, produceva in sua difesa due documenti, costituiti da una scrittura privata sottoscritta dal socio per presa visione del dispositivo della sentenza, e poi una mail, e ciò al fine di avallare la venuta a conoscenza di quest’ultimo dell’esito negativo. Il socio, però, ribatteva sostenendo di non aver mai ricevuto la mail e non disconosceva la firma sulla scrittura privata, ma sosteneva il suo completamento abusivo.
Il Tribunale di prime cure rigettava le domande attoree, ritenendo non raggiunta la prova del riempimento abusivo della scrittura provata prodotta.
Veniva proposto ricorso dinanzi la Corte d’appello, ma anche qui veniva confermato il rigetto, ritenuto presumibile come, la consegna a mani proprie del dispositivo, fosse stata preceduta da una comunicazione informale o da uno scambio di email, rilevando il mancato raggiungimento della prova della mancata informazione da parte del commercialista.
Il socio, perciò, ha deciso interporre ricorso dinanzi la Cassazione sulla base di tre motivi, con i quali ritiene avere, il tribunale prima e la corte d’appello poi, erroneamente ritenuto sulla base di meri indizi provato il ricevimento della mail e, pertanto, il verificarsi dell’art. 2712 cc, secondo il quale il messaggio di posta elettronica è documento elettronico, e forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, soltanto se non viene disconosciuta la conformità ai fatti o alle cose medesime. A fronte di una asserito diniego di ricezione da parte del socio, la corrispondenza via mail sarebbe così priva di valenza probatoria, non essendo la controparte riuscita a provare di averla effettivamente inoltrata.
La Cassazione, tuttavia, esaminata la controversia, giunge a ritenere infondato il ricorso, e a rilevare come la decisione assunta dai giudici di merito risulti coerenziata con le recenti affermazioni di legittimità in tema di messaggi di posta elettronica. Infatti la Corte, anche in questa occasione, ha avuto modo di ribadire i principi in tema di valore probatorio di tali comunicazioni, nello specifico:
- il messaggio di posta elettronica sottoscritto con firma “semplice” è un documento informatico ai sensi dell’art. 2712 c.c., ed al riguardo, se non ne sono contestati la provenienza od il contenuto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate;
- se ne sono contestati la provenienza od il contenuto, il giudice non può espungere quel documento dal novero delle prove utilizzabili, ma deve valutarlo in una con tutti gli altri elementi disponibili, tenendo conto delle sue caratteristiche intrinseche di sicurezza, integrità, immodificabilità.
In breve, la mail è un documento informatico scritto che una volta inserito nel procedimento deve essere valutato dal giudice.
Particolare rilievo assume, da ultimo, il canone dettato in tema di ricezione, secondo cui è responsabile il titolare dell’indirizzo mail ricevente e questi, ai fini di dimostrare la mancata ricezione, non può limitarsi a negare di aver mai ricevuto la comunicazione, bensì “deve controllare che la ricezione della posta non sia bloccata e che i messaggi non siano finiti nella spam, rimanendo nella sua responsabilità la mancata conoscenza di un messaggio che gli sia stato regolarmente inviato e del quale non abbia preso conoscenza per il malfunzionamento della sua casella di posta elettronica o perché finito nella spam” (Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, Ordinanza N° 25131 del 18 settembre 2024)
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