Che valore ha un mutuo fondiario contratto solo per pagare debiti che vede la banca trattenere da subito l’importo finanziato?
E’ legittimo una simile tipologia contrattuale?
In caso di mancato pagamento la banca può usare questo contratto come titolo esecutivo, ed avviare da subito un esecuzione immobiliare sul bena a garanzia, senza doversi procurare un decreto ingiuntivo?
Gli interrogativi suindicati trovano contestuale risposta in una importante sentenza della Corte di Cassazione a Sezione Unite, chiamata a comporre un contrasto di particolare importanza insorto nello stesso Organo di legittimità, e che ha portato a risposte alternative per quanto concerne la validità del c.d. mutuo solutorio.
Si tratta di uno schema assai diffuso nella odierna realtà contrattuale, e che si caratterizza per la stipula di un rogito fondiario, cui consegue la erogazione di un capitale mutuato, integralmente utilizzato dalla banca per sanare passività pregresse; in sostanza, pur a fronte di una formale erogazione delle somme, quietanzata dal mutuatario, quest’ultimo non riceve alcunché, in quanto l’istituto di credito, con lo stesso atto, viene autorizzato dalla parte mutuataria ad impiegare le somme per il consolidamento di debiti pregressi.
Tale schema ha fatto insorgere un corposo contenzioso, con risposte alterne, persino in sede di Cassazione, riguardo alla liceità di tale schema, a tutti gli effetti un rogito fondiario ex art. 38 DPR N° 385/1993, e dunque passibile in astratto di esecuzione diretta.
La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, come anzidetto, ha rimesso la vertenza alle Sezioni Uniti Civili, proprio al fine di valutare la liceità di tale formula contrattuale, ed altresì le implicazioni di tale rogito, se passibile o meno di esecuzione diretta, secondo lo schema del finanziamento fondiario.
Il Giudice Nomofilattico ha inteso dare seguito all’orientamento maggioritario, aderente alle ragioni del ceto bancario, valorizzando il contenuto dell’atto, che contempla innanzitutto il trasferimento giuridico -e quietanzato- delle somme in capo ai mutuatari; l’accredito sul conto ed il successivo impiego per finalità della mutuante non consente qualificare l’operazione contabile come meramente fittizia o illecita, essendo da considerare piuttosto come una reale e più complessa vicenda giuridica.
Nel mutuo solutorio, costituente una fattispecie atipica, l’utilizzo della somma non attiene al momento genetico della stipula e non ne caratterizza la causa, ma è da considerare un elemento successivo, collocato su un piano ulteriore e distinto; non si può a tal fine considerare il mutuo solutorio come un pactum de non petendo, in ragione della mancanza di effettivo trasferimento delle somme, che sussiste nella fase iniziale del contratto.
La destinazione delle somme mutuate, seppure immediata, non registra una connotazione intrinsecamente illecita, fermo restando che lo strumento in analisi potrebbe pure prestarsi ad operazioni fraudolente, destinata a rilevare sul piano dell’inefficacia, e non già della nullità, attesa la insussistente contrarietà a norme imperative.
Verificatasi siffatta evenienza, l’Ordinamento accorda -soprattutto ai terzi pretermessi da garanzie creditorie- strumenti efficaci di tutela (azioni revocatorie su tutto), ma non si può affermare che il ripianamento di debiti nel contratto di mutuo ne determini la nullità per difetto di causa.
Anche per il mutuo fondiario la Corte di Legittimità ribadisce essere lo scopo del finanziamento avulso dalla causa contrattuale, da indentificare piuttosto nella immediata disponibilità giuridica della somma, a fronte di una accordata garanzia immobiliare.
Per le medesime ragioni sopra enucleate, deve escludersi che una destinazione delle somme diversa da quella in concreto realizzata possa consentire una declaratoria di nullità del mutuo fondiario, ove si consideri come, ancora una volta, gli scopi soggettivi esulano dalla causa contrattuale.
Ed allora, la validità del rogito solutorio, il distinguo tra la causa contrattuale ed i propositi soggettivi perseguiti dalle parti impone al contempo ritenere il pieno valore del mutuo quale titolo esecutivo ex art. 474 cpc.
La Corte di Legittimità ha pertanto statuito il principio di diritto appresso trascritto:
“Il perfezionamento del contratto di mutuo, con la conseguente nascita dell’obbligo di restituzione a carico del mutuatario, si verifica nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, sia posta nella disponibilità giuridica del mutuatario medesimo, attraverso l’accredito su conto corrente, non rilevando in contrario che le somme stesse siano immediatamente destinate a ripianare pregresse esposizioni debitorie nei confronti della banca mutuante, costituendo tale destinazione frutto di atti dispositivi comunque distinti ed estranei alla fattispecie contrattuale.
Anche ove si verifichi tale destinazione, il contratto di mutuo (c.d. mutuo solutorio), in presenza dei requisiti previsti dall’art. 474 cpc cod. proc. civ., costituisce valido titolo esecutivo” (Cassazione Civile, Sezioni Uniti Civili, sentenza 5 Marzo 2025, N° 5481).

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