A chi spetterà l’assegno se entrambi gli uniti civilmente versano in condizione precaria?
A dare una chiara risposta a tale importante quesito in ambito familiare è la Corte di Cassazione con la recente Ordinanza del 17 Settembre 2024, N° 24930, volta a dirimere una controversia insorta a seguito di revoca dell’assegno di mantenimento, dapprima fruito dalla coniuge civilmente unita [ai sensi dell’art. 1, Legge 76/2016, l’unione civile è la formazione sociale costituita da due persone maggiorenni dello stesso sesso mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni], poi ritenuto in secondo grado privo dei presupposti giustificativi.
Nello specifico, ad una sentenza di primo grado attributiva del diritto al mantenimento nei confronti della coniuge obbligata (trattavasi di coppia omofila), ha fatto seguito un pronunciamento di opposto tenore nella sede di appello, correlato tuttavia al cambio delle condizioni economiche, una volta appurata la perdita del lavoro da parte dell’obbligata a la contrazione di debiti nel corso dell’unione civile, tali da non potere più supportare il mantenimento. Non era al contempo emerso un quadro fattuale volto a supportare la impossibilità di ricerca di un lavoro da parte della percipiente, pure a fronte di una condizione di inabilità legata ad una condizione depressiva soltanto enunciata.
L’ex compagna, destinataria dell’assegno, ha proposto così ricorso dinanzi la Corte di legittimità, affidato a due diversi motivi.
Con il primo, ha lamentato il mancato scrutinio, da parte della Corte d’appello, di talune vicende occorse in un momento anteriore all’unione civile, ovvero il pregresso matrimonio eterosessuale della obbligata, che aveva dato alla luce tre figlie, e la successiva decisione di andare a vivere dalla nuova compagna insieme alla figlia. A tanto doveva cumularsi la sopravvenuta la condizione di inabilità al lavoro e di invalida civile, parimenti non vagliata.
Con il secondo motivo la ricorrente -premettendo trovare l’assegno di mantenimento il proprio fondamento nel dovere di assistenza a carico del coniuge economicamente più forte, e che la valutazione avrebbe dovuto aver riguardo non solo della durata dell’unione, ma pure la pregressa convivenza- ha lamentato l’erronea pronuncia sul soggetto economicamente più forte, ed al contempo la travisata ponderazione delle rispettive capacità economiche; giudizio comparativo destinato ad eterogeneo risultato, se sottoposto ad un corretto vaglio, considerata la più florida situazione patrimoniale della originaria obbligata.
La Suprema Corte, tuttavia, a seguito di un’attenta analisi, giunge alla conclusione che entrambe le doglianze sono inammissibili. Il primo motivo, costruito come inosservanza dell’art. 360 cpc, comma quinto, viene respinto perché volto ad un nuovo apprezzamento di fatto, inammissibile dinanzi al Giudice di legittimità.
Il secondo, invece, riceve una risposta molto più articolata, ed infatti la Corte ribadisce e conferma un importante principio: nell’ipotesi di unioni civili si applica l’art. 4, comma 6, L. 898/1970, richiamato dall’art. 25 L. 76/2016, volto a prevedere la corresponsione di un assegno di mantenimento in favore dell’ex partner, attribuendo al relativo obbligo una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970; valutazione sul piano temporale correlata non solo al tempo dell’unione, ma al periodo pregresso, che ha visto la coppia legata solo di fatto (Cass. Sez. U. n. 35969/2023). L’attribuzione di un mantenimento richiede accertare l’inadeguatezza dei mezzi dell’ex partner istante, e la impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. Lo scrutinio da parte del giudice impone un vaglio comparativo delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, sì da prendere in considerazione il contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.
Tuttavia, nel caso in esame, la decisione impugnata si è attenuta pedissequamente ai criteri appena elencati ed ha accertato l’insussistenza dei presupposti per l’assegnazione dell’assegno.
La Corte, operata siffatta premessa, ritiene il ricorso infondato (Corte di Cassazione, Ordinanza del 17 settembre 2024, N° 24930).
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