Secondo l’Alto Consesso di Legittimità sussiste nesso di causalità, e di conseguenza, la responsabilità del medico per condotta omissiva se, alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione richiesta, l’evento non si sarebbe verificato, se non in altro momento ovvero, se coevo, con minore intensità lesiva. CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. IV PENALE, 20 Marzo 2012, N° 10864
Ritenuto in fatto
B.G.U.F. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, lo ha riconosciuto colpevole del reato di lesioni personali colpose aggravate commesso nell’esercizio dell’attività medica in danno di L.A..
L’addebito veniva formalizzato con riferimento ad un intervento chirurgico [effettuato in data (OMISSIS) ] cui il B. aveva sottoposto la L. affetta da un cordoma al clivus ovvero da una deformazione intracranica, all’esito del quale il sanitario, nonostante che i neuropatologi avessero redatto un referto istologico di cordoma, si era limitato erroneamente a dimettere la paziente con una diagnosi generica di lesione espansiva del clivus, senza provvedere alla scelta terapeutica di fare sottoporre la paziente a radioterapia; e tale scelta aveva seguitato a coltivare nonostante che una risonanza magnetica effettuata nel (omissis) avesse dato una indicazione della permanenza di un residuo, tale da imporre la necessità di far sottoporre la paziente a radioterapia con protoni. Tale opzione terapeutica ‘attendista’ ed erronea aveva determinato la persistenza della malattia, con conseguente necessità di un successivo intervento chirurgico e della sottoposizione della paziente alla radioterapia.
La Corte di merito, attraverso la disamina del contributo dei consulenti del PM e della parte civile, ma anche, sotto certi profili, dei consulenti della difesa, riteneva di focalizzare l’attenzione sul comportamento del B. successivo al (omissis) , allorquando dalla risonanza magnetica in quell’epoca effettuata, anche in ragione dell’esame istologico, nessun dubbio poteva porsi sulla natura tumorale della patologia, sulla persistenza di un residuo e sulla evidenziatasi necessità di una radioterapia: proprio tale insieme di circostanze, documentate e riscontrate con il contributo dei consulenti, attestava della colpa del sanitario, il quale perseverava nell’errore diagnostico [convinzione di avere effettuato la totale asportazione del tumore, senza residuo] e quindi nella determinazione di non effettuare la radioterapia.
A supporto della decisione venivano richiamate le conclusioni dei consulenti del PM e della parte civile e la deposizione del medico che poi ebbe a sottoporre la paziente a successivo intervento risolutivo: tutte convergentemente indicative dell’indispensabilità di accompagnare il trattamento chirurgico con quello radioterapico con protoni e tutte supportate da contributi scientifici documentali.
Anche i consulenti dell’imputato, che pure avevano concluso per la validità dell’opzione attendista, concordavano sulla necessità di un approccio terapeutico combinato [chirurgico e radioterapico].
In realtà, con riferimento all’opzione attendista del B. [motivata essenzialmente per il timore di effetti collaterali conseguenti alla radioterapia], secondo il giudicante, mentre poteva accettarsene la fondatezza quanto al periodo successivo all’intervento del (omissis) , analogo discorso non poteva farsi dopo gli esami del (omissis) , laddove la accertata presenza del residuo della massa neoplastica imponeva il ricorso alla terapia radiante e poi un successivo intervento.
Acclarato il tema della colpa, il giudice di merito si è soffermato anche sulla questione del nesso causale, evidenziando come le risultanze processuali [in primo luogo, quelle tecniche] confortavano il giudizio positivo, nei termini di alta credibilità razionale imposti dalla nota sentenza Franzese: ciò attraverso l’affermazione che se la paziente fosse stata avviata ad un ciclo di radioterapia con tempestività avrebbe avuto un’altissima probabilità di non subire la recidiva o di non subirla nel brevissimo arco temporale di pochi mesi come viceversa accaduto.
Avverso la condanna, si articolano due doglianze.
Con la prima si prospetta il difetto di motivazione con riguardo ad entrambi i profili della colpa. In sintesi, si sostiene la manifesta illogicità della sentenza laddove prima sostiene che l’errore di diagnosi (l’aver comunicato alla madre della bambina che si trattava di una cordosi mentre era un cordoma) avrebbe determinato l’errore nella scelta della terapia già dal (omissis) (il non effettuare alcuna terapia radiante dopo l’intervento chirurgico di asportazione del tumore) e poi afferma che la scelta attendista effettuata nel (omissis) poteva avere una sua validità, essendo necessario aspettare l’esaurimento dei fenomeni reattivi all’intervento chirurgico.
Quanto al secondo profilo di colpa (il non avere indirizzato la paziente alla terapia radiante, neppure a seguito del risultato della risonanza magnetica del (omissis) che aveva attestato la presenza, sia pure minima, di un residuo della massa neoplastica) si sostiene che il giudicante non avrebbe fornito risposta alle specifiche argomentazioni difensive ed agli elementi di prova che attestavano come anche in presenza di una non totale resezione chirurgica del cordoma la scelta attendista non era errata. Sul punto si evidenzia che la difesa nei motivi di appello aveva sottolineato l’assenza di linee guide e protocolli terapeutici in relazione al trattamento post chirurgico del cordoma, dimostrando, alla luce dei dati di letteratura agli atti del processo, che diversi pazienti, i quali avevano subito un intervento di non completa asportazione, non erano stati sottoposti alla terapia radiante. In particolare si era sollecitata l’attenzione della Corte territoriale sul significato scientifico della locuzione radical excision evidenziando trattarsi di locuzione esattamente sovrapponibile al concetto di ‘quasi completa asportazione della lesione’ di cui al referto del (omissis) , per la quale era stata ritenuta corretta dagli esperti la scelta attendista (il riferimento è in particolare alle dichiarazioni rese, nella qualità di teste, introdotto dalla parte civile, dal prof. K. , dalla prof. F.B. , dal prof. O. , i cui verbali sono stati allegati al ricorso, ed al contenuto di pubblicazioni scientifiche). Si sostiene, pertanto, il travisamento della prova nella parte in cui il giudice di appello assume l’esistenza di una totale concordanza delle risultanze testimoniali sulla possibilità di ricorrere all’opzione terapeutica attendista solo in presenza di una resezione totale del tumore. Si prospetta il vizio del travisamento della prova anche con riferimento alle dichiarazioni rese, nella qualità di teste dal prof. Li. , consulente della parte civile, il cui verbale è stato pure allegato al ricorso, evidenziando che, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza, il consulente della parte civile, pur esprimendo la propria personale preferenza per la scelta terapeutica, aveva posto sul medesimo piano la scelta terapeutica attendista seguita dal prof. B. rispetto a quella di indirizzare la paziente alla radioterapia perché gli elementi a disposizione facevano ritenere di essere di fronte ad un tumore poco aggressivo.
Sotto altro profilo si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ritenendo più attendibili le valutazioni del consulente tecnico del PM, aveva affermato che gli effetti collaterali della radioterapia erano sicuramente curabili, e, pertanto, in un bilancio di rischi-benefici, non potevano ritenersi impeditivi della terapia con protoni, senza fornire alcuna motivazione sui motivi di appello che, alla luce delle valutazioni espresse dagli esperti sopra indicati, avevano evidenziato la pericolosità, sotto il profilo degli effetti collaterali, della radioterapia con protoni su una bambina in età prepubere (trattasi di danni al nervo ottico ed al sistema nervoso centrale).
Con la seconda censura si prospetta il vizio di motivazione con riguardo al nesso di causalità tra la condotta omissiva e la recidiva del tumore, sostenendosi che proprio alla luce dei principi della sentenza Francese non poteva affermarsene la sussistenza.
Si sostiene che la Corte territoriale, privilegiando il giudizio probabilistico in termini statistici formulato dal consulente tecnico del PM e della parte civile, era arrivata ad affermare, senza valorizzare le circostanze del caso concreto e senza avere escluso eventuali fattori interagenti nella causazione dell’evento, la percentuale statistica dell’80% di mancate recidive in giovanissimi pazienti sottoposti a radioterapia, così confondendo il concetto di elevata probabilità logica, che deve essere riferito alla certezza processuale, con il concetto di elevata probabilità statistica, che attiene, invece, agli esiti di situazioni analoghe a quella in esame.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
In realtà, l’impugnazione, pur argomentata, si risolve In una censura di merito sull’apprezzamento del compendio probatorio, sviluppato in modo esauriente e convincente dai giudici di merito, in un processo del resto conclusosi con due conformi sentenze di condanna.
È noto allora che, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si trova dinanzi ad una ‘doppia conforme’ e cioè ad una doppia pronuncia (in primo e in secondo grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di assoluzione), l’eventuale vizio di travisamento può essere rilevato in sede di legittimità, ex articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sezione IV, 10 febbraio 2009, Ziello ed altri). Detto altrimenti, quando ci si trova dinanzi ad una ipotesi di ‘doppia pronuncia conforme’, in primo e in secondo grado, l’eventuale vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità, ex articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., nel solo caso in cui il giudice di appello, al fine di rispondere alle censure contenute nell’atto di impugnazione, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice, ostandovi altrimenti il limite del devoluto, che non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità (Sezione II, 9 luglio 2010, Battaglia ed altri).
Ciò che qui deve escludersi, avendo il giudice di appello, semmai, ‘concentrato’ la disamina sulla condotta del B. tenuta dopo il maggio 2005, senza nulla aggiungere di non già valutato in primo grado.
Né la pretesa carenza o illogicità di motivazione potrebbe surrettiziamente evocarsi con riferimento alla ricostruzione ‘scientifica’ della vicenda incriminata, opponendosi a tale ricostruzione una diversa versione ritenuta preferibile, magari corredata [come nello specifico] da autorevoli opinioni.
Va ricordato, infatti, che, in virtù dei principi del libero convincimento del giudice e di insussistenza di una prova legale o di una graduazione delle prove, il giudice ha la possibilità di scegliere, fra le varie tesi scientifiche prospettate da differenti periti di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purché dia conto, con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermato sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti, sicché, ove una simile valutazione sia stata effettuata in maniera congrua in sede di merito, è inibito al giudice di legittimità di procedere ad una differente valutazione, poiché si è in presenza di un accertamento in fatto come tale insindacabile dalla Corte di cassazione, se non entro i limiti del vizio motivazionale.
La Cassazione, infatti, non può interloquire sulla maggiore o minore attendibilità scientifica degli apporti scientifici esaminati dal giudice, ossia non deve stabilire se la tesi accolta sia esatta, ma solo se la spiegazione fornita sia spiegata in modo razionale e logico. Ciò in quanto la Corte di legittimità non è giudice del sapere scientifico, giacché non detiene proprie conoscenze privilegiate: essa, in vero, è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine alla affidabilità delle informazioni che vengono utilizzate ai fini della spiegazione del fatto (Sezione IV, 13 maggio 2011, persona offesa Monopoli in proc. Di Palma ed altri).
Con questa premessa ed a fronte della spiegazione fornita in sede di merito a supporto della condanna, inevitabile che non possa qui procedersi a verificare ‘nel merito’ la congruità dell’opzione terapeutica coltivata dal B. [intervento chirurgico non accompagnato da radioterapia], il significato dell’esame radiografico del (omissis) e la persistente scelta di non effettuare la radioterapia che ha caratterizzato l’approccio terapeutico dell’imputato.
Anche la ricostruzione del nesso causale è esente da censure evoca bili in questa sede.
A ben vedere, qui il giudicante ha fatto buon governo dei principi vigenti in materia, già sintetizzati efficacemente dalla nota sentenza delle Sezioni unite, 10 luglio 2002, Franzese.
Come è noto, nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva (di recente, Sezione IV, 22 dicembre 2010, Manera).
Il giudicante si è mosso in linea con tale affermazione di principio, allorquando, lungi dal soffermarsi sul mero dato statistico, ma attraverso una disamina approfondita dei diversi contributi anche scientifici acquisiti è pervenuto alla conclusione che un diverso approccio terapeutico avrebbe quantomeno ritardo l’insorgere della recidiva, che ha comportato il nuovo intervento.
Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.