La Corte di legittimità ribalta gli esiti del giudizio di appello -a sua volta conclusosi in riforma della sentenza di primo grado-, e riconosce il diritto del venditore a trattenere la caparra versata dal promissario acquirente, una volta resosi quest’ultimo inadempiente, a prescindere dalla proposizione di una domanda di risoluzione per inadempimento da parte di quest’ultimo o da particolari oneri probatori. In dettaglio, dopo una usuale operazione negoziale, caratterizzata da una promessa di acquisto e versamento di caparra confirmatoria, la parte acquirente conveniva in giudizio il venditore, chiedendo dichiararsi l’inadempimento di quest’ultimo ed il ristoro del danno, ed in via subordinata l’obbligo di restituire l’importo versato in ragione del doppio. Nel giudizio instaurato spiegava domanda riconvenzionale la parte promittente, chiedendo ascrivere all’attore la risoluzione per inadempimento, ed in via gradata appurare il legittimo recesso del venditore, ed il diritto ex art. 1385 cc di ritenere le somme ricevute a titolo di caparra confirmatoria. Dopo un primo giudizio favorevole alle ragioni del compratore, la Corte d’Appello ha statuito l’obbligo del venditore di restituire l’importo ricevuto, e quest’ultimo ha così promosso ricorso di legittimità, censurando in particolare l’esegesi del secondo giudice, secondo cui la controversia doveva focalizzarsi non già sulla domanda redibitoria, bensì sul diritto a ritenere le somme da parte del venditore, costituente una previsione di ristoro subordinato alla prova di un pregiudizio, concretamente non assolto, una volta appunto esperita la domanda di risoluzione. Tale approccio viene invalidato nella sede di legittimità: la Corte di Cassazione sancisce essere il diritto di recesso una forma di risoluzione stragiudiziale del contratto, accomunato dai medesimi presupposti dalla domanda redibitoria, ed anche dai medesimi effetti (cessazione sin dal principio degli effetti contrattuali). La domanda di risoluzione non preclude pertanto la richiesta giudiziale di incamerare la caparra, costituente un dato unitario, e dunque neppure impone particolare indagini suppletive concernenti l’entità del pregiudizio (Cassazione Civile, Sezione Seconda, sentenza 16 Novembre 2023, N° 31928).
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