Cosa succede se il dipendente presenta al datore una richiesta di rimborsi del tutto indebita?
Può’ in questi casi l’azienda intimare il licenziamento al prestatore di lavoro, ed interrompere il rapporto contrattuale per giusta causa o giustificato motivo?
L’interrogativo trova di recente risposta in una Ordinanza della Corte di Cassazione, volta a negare, in termini favorevoli ai lavoratori, un possibile automatismo tra la indebita pretesa al rimborso ed il licenziamento, enunciando il seguente principio di diritto: “Anche in presenza di condotte riconducibili alla negligenza grave, la sanzione espulsiva deve essere proporzionata alla violazione commessa. In caso contrario, il giudice può applicare le tutele meno severe previste dall’art. 18, comma 5, Legge 300 del 1970”
I Giudici di Legittimità sono stati chiamati a decidere su un ricorso principale ed altro incidentale riguardante un episodio di licenziamento disciplinare per giusta causa e senza preavviso, da parte di Autogrill Italia Spa ed in danno di un proprio dipendente, dopo avere quest’ultimo presentato diverse note di rimborso spese con l’indicazione di errata cilindrata del veicolo e conseguente rimborso non dovuto.
Veniva, quindi, impugnato il recesso dinanzi il Tribunale di Salerno che, con ordinanza, accoglieva il ricorso e disponeva la reintegrazione del posto di lavoro; in sede di opposizione ex L.92/2012, l’Organo adito dichiarava risolto il rapporto di lavoro e condannava l’azienda al pagamento di una indennità.
Entrambe le parti provvedevano a proporre reclamo dinanzi la Corte di appello, la quale tuttavia confermava la pronuncia di primo grado; nel rilevare l’incontroverso antefatto storico, evidenziava il secondo giudice come, l’errata indicazione dei dati sulle schede appariva riconducibile ad una grave negligenza della lavoratrice, e non ad un accordo intercorso tra questa ed il direttore del punto vendita, autore anche esso degli stessi fatti oggetto della contestazione disciplinare ricevuta dal dipendente. Il dolo nel comportamento dell’incolpata non poteva ritenersi dimostrato dalla datrice di lavoro, e la condotta, sia pure colposa, assumeva carattere di gravità, e la sanzione espulsiva appariva, però, eccessiva rispetto all’addebito posto in essere per cui andava applicata la tutela di cui all’art. 18 co. 5 legge n. 300 del 1970.
Avverso la sentenza di secondo grado, il dipendente proponeva ricorso di legittimità, sostenendo l’erronea interpretazione e l’applicazione dell’art. 1, comma 42, L. 92/2012, con riferimento all’insussistenza del fatto contestato; secondo i principi della giurisprudenza di legittimità, occorreva aver riguardo alla nozione di fatto giuridico e non di fatto materiale e che, dalle risultanze istruttorie e dalle stesse considerazioni della Corte territoriale, era emersa la buona fede della lavoratrice, e quindi la insussistente condotta addebitata. Il datore di lavoro, in termini simmetrici, spiegava ricorso incidentale per cassazione, sostenendo l’erronea esclusione di una giusta causa ovvero di un giustificato motivo soggettivo, idoneo a legittimare l’interruzione del rapporto lavorativo.
Il ricorso del dipendente, volto ad escludere ogni addebito, viene ritenuto dalla Corte di Legittimità in parte inammissibile e in parte infondato. In tema di licenziamento disciplinare ex art. 7 L. N° 300/1970, la valutazione della gravità del comportamento e la sua idoneità a ledere il rapporto di fiducia con il datore, è compito del giudice di merito e, se adeguatamente motivata, è insindacabile in sede di legittimità, elemento rispettato nel caso in esame. A supporto dell’infondatezza, altresì, la Corte rilevava come, a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente circa la travisata applicazione dell’art. 18 Statuto dei Lavoratori, l’infedele compilazione della nota spese non rientrava nelle fattispecie contemplate dagli artt. 137 e 138 CCNL di categoria, allorquando viene prevista la sanzione conservativa per le mancanze relative alla trasgressione dell’osservanza del CCNL; tali disposti riguardavano obblighi tendenti a mantenere la dignità e il decoro in ambiente lavorativo, ovvero casi strettamente ricollegati all’espletamento delle mansioni sul luogo di lavoro, e non già nella fattispecie comportamentale oggetto di lite.
Circa il motivo di ricorso incidentale, la Corte di Cassazione ne rileva la sua inammissibilità, valorizzando al riguardo come, il giudice di merito non avesse escluso la esistenza di una giusta causa, ma solo sproporzionata la sanzione applicata rispetto alla condotta, in quanto eccessiva; il tutto alla stregua di un principio di diritto, riproposto per dirimere il rapporto controverso, a tenore del quale, in presenza di condotte riconducibili alla negligenza grave, la sanzione espulsiva deve essere proporzionata alla violazione commessa e che, in caso contrario, il giudice può applicare le tutele meno severe previste dall’art. 18, co. 5, della legge n. 300 del 1970L. 20/05/1970, n. 300 (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Ordinanza 23 Agosto 2024, N° 23053).
Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Cosenza Napoli