La Corte di Legittimità, nella massima composizione, risolve un contrasto esegetico concernente il raccordo tra le misure personali reali e la principale procedura concorsuale, al fine di stabilire se, una volta dichiarato fallito l’imprenditore ed attratto il suo patrimonio nella massa fallimentare, i relativi beni siano passibili di sequestro. Sul punto si registravano due orientamenti, il primo dei quali volto ad accordare la totale priorità delle esigenza di conservazione del patrimonio portate avanti dall’Organo requirente per la repressione dei reati tributari, anche laddove posteriori alla declaratoria di insolvenza (con l’entrata in vigore del D. Lvo N° 14/2019 denominata liquidazione giudiziale). In detti termini, il Curatore fallimentare si è persino detto non essere legittimato ad impugnare la misura coercitiva reale, né agire in rappresentanza del creditore, in quanto soggetto terzo rispetto al procedimento cautelare. A tale orientamento si contrappone un indirizzo diametralmente opposto, adagiatosi sulla lettura fedele dell’art. 12 bis D. L.vo N° 74/2000, nella parte in cui legittima il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per reati tributari, “salvo che appartengano a persona estranea al reato”. Il fallimento, ovvero la liquidazione giudiziale, determinerebbero la fuoriuscita del patrimonio dalla sfera giuridica del debitore insolvente, ed una volta attratto nella massa fallimentare dovrebbe considerarsi come fattispecie estranea all’imputato, non passibile di misura coercitiva. Il Giudice Nomofilattico, pur ammettendo la legittimazione processuale del curatore (un tempo negata), ritiene condividere il primo orientamento, che aveva comunque assunto nel recente periodo una connotazione maggioritaria, ed ha dunque escluso che il fallito, sino alla concreta liquidazione della massa fallimentare, perda la giuridica disponibilità dei beni, sempre passibile di sequestro preventivo. Siffatta soluzione è da intendersi più finitima all’attuale panorama normativo, ed in particolare all’art. 317 D. L.vo N° 14/2019 (c.d. Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza), il quale ha sancito doversi dirimere il conflitto tra procedura concorsuale e misura coercitiva alla stregua del Codice Antimafia (D. L.vo N° 159/2011). L’art. 52 del citato codice, in particolare, quanto al sequestro penale e di prevenzione, esclude la procedura concorsuale possa intendersi recessiva rispetto all’interesse pubblico volto alla persecuzione del reato (Cassazione Penale, Sezioni Unite, sentenza 40797 del 12 Ottobre 2023).
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