L’Alto Consesso conferma i criteri adottati per la determinazione del ristoro dovuto a perdita di chance, che indica nella misura del 10% dell’importo posto a base d’asta, ribassato dall’offerta presentata. Somma ulteriormente da ridurre, ove l’impresa non abbia dimostrato di essere stata nell’impossibilità di utilizzare, durante il tempo di esecuzione del servizio per cui è giudizio, mezzi e maestranze per l’espletamento di altri e diversi servizi. Consiglio di Stato Sentenza N. 00115/2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9770 del 2007, proposto dalla s.r.l. Atp, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. Alessandro Chiucchiolo, con domicilio eletto presso il signor Antonio D’Agostino in Roma, via Mirabello, 6;
contro
La s.p.a. Autostrada del Brennero, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Rolando Roffi e Francesco Paolucci, con domicilio eletto presso il signor Massimo Letizia in Roma, viale Angelico n. 103;
nei confronti di
La s.n.c. Sit Geo, in proprio e nella qualità di mandataria in ATI con Ata Engineering Srl, in persona del legale rappresentante, non costituita nel secondo grado del giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.R.G.A. – DELLA PROVINCIA DI TRENTO n. 139/2007, resa tra le parti, concernente APPALTO PER RILIEVI TOPOGRAFICI PROGETTAZIONE TERZA CORSIA AUTOSTRADALE (RISARCIMENTI DANNI)
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2011 il consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti l’avvocato Buchicchio, per delega dell’avvocato Chiucchiolo, e l’avvocato Roffi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. E’ impugnata la sentenza 28 luglio 2007 n. 139 del Tribunale di Giustizia Amministrativa del Trentino Alto Adige, sede di Trento, che ha respinto il ricorso (RG n. 64/2007) della ATP srl, odierna appellante, avverso gli atti della gara bandita dalla s.p.a. Autostrada del Brennero per l’esecuzione dei rilievi topografici a supporto dell’attività di progettazione della terza corsia (relativa al tratto da Verona a Modena) della autostrada del Brennero ed in particolare dell’atto di aggiudicazione della stessa gara all’ATI tra SIT Geo – Studio Informatica territoriale di Sembenotti Gino e c. snc e ATA Engineering srl.
2. L’appellante, nel rilevare la erroneità della gravata sentenza di rigetto, reitera in questo grado le censure già disattese dal giudice di primo grado, afferenti:
1) la erronea qualificazione, operata ex officio dalla Commissione di gara, del rapporto giuridico tra le imprese aggiudicatarie in termini di associazione in cooptazione, ai sensi dell’art. 95, comma 4, del d.P.R. 554/99, anziché di ordinaria associazione temporanea di imprese;
2) la mancata esclusione dell’ati aggiudicataria, a seguito della corretta qualificazione della forma di partecipazione alla gara della concorrente, in ragione della omessa specificazione, nella domanda partecipativa, di quali parti del servizio e delle forniture fossero a carico dell’una e dell’altra delle imprese associate, non essendo a tal uopo utili i chiarimenti forniti dall’ati nel fax del 9 ottobre 2006 in ordine alla divisione qualitativa della fornitura ed attestanti, caso mai, altro motivo di esclusione, stante la non prevista partecipazione alla gara di ati di tipo verticale ( in carenza della previa operazione di specificazione, da parte della stazione appaltante, dei servizi secondari rispetto a quelli di carattere principale) e non avendo l’associata ATA Engineering i requisiti tecnici per svolgere, in qualsivoglia percentuale, il servizio oggetto d’appalto;
3) la inapplicabilità, in ogni caso, alla fattispecie, dell’istituto della associazione in cooptazione, previsto dalla richiamata disposizione normativa soltanto in materia di lavori pubblici e non di servizi;
4) il rilievo secondo cui anche in ipotesi di cooptazione avrebbero dovuto essere specificate le parti di servizio da eseguirsi dalle singole imprese;
5 ) la violazione del bando di gara (sez. III par. 3.2) e del capitolato art. 4 lett. b) n. 1), non risultando indicati i nominativi, le qualifiche, ed i titoli di studio delle persone da impiegare per la esecuzione dei rilievi topografici;
6) la divergenza tra i contenuti dell’offerta tecnica originaria e la descrizione del servizio depositata dal raggruppamento a seguito delle precisazioni richieste dalla stazione appaltante ai fini della verifica di congruità dell’offerta.
Di qui la richiesta di annullamento, in riforma della impugnata sentenza, della gravata aggiudicazione in favore delle imprese controinteressate e di aggiudicazione della stessa ad essa appellante, salvo in via subordinata (e cioè per il caso di impossibilità della reintegrazione in forma specifica) il diritto al risarcimento del danno.
3. Si è costituita in giudizio la società appellata Autostrade del Brennero per resistere al ricorso e per chiederne la reiezione.
All’udienza del 28 ottobre 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
4. L’appello è fondato e va accolto per quanto di ragione.
4.1 La prima questione giuridica da affrontare, avente carattere assorbente, attiene alla legittimità dell’operato della Commissione di gara, validato dalla stazione appaltante con l’approvazione degli atti della procedura selettiva e ritenuto conforme a diritto dai giudici di primo grado, nei limiti cognitori delle dedotte censure, in ordine alla operazione della corretta qualificazione giuridica della forma di partecipazione alla gara della associazione risultata aggiudicataria.
In sintesi, il raggruppamento risultato poi aggiudicatario dell’appalto ha proposto la domanda partecipativa qualificandosi quale associazione temporanea di imprese, da costituirsi tra la Sit Geo snc, in posizione di mandataria, e l’ATA Engineeringe srl, nella veste di mandante; poiché nessun altra puntualizzazione è dato scorgere nella domanda partecipativa, dalla stessa doveva necessariamente dedursi che il raggruppamento si presentava alla gara quale associazione ordinaria tra imprese (di tipo orizzontale).
La commissione tecnica, in carenza di indicazioni puntuali in domanda in ordine alle percentuali di partecipazione al raggruppamento ed alla quota dei servizi da eseguire da parte di ciascuna associata, ha inteso dar corso ad una attività istruttoria al cui esito ha ritenuto di ravvisare nella formula partecipativa approntata dalle odierna appellata, anche sulla scorta della analoga e nuova prospettazione delle imprese associate (cfr. fax del 9 ottobre 2006), una associazione in cooptazione, prevista dall’art. 95 del d.PR 554/1999.
4.2 Il Tar ha ritenuto legittimo tale modus operandi, essenzialmente sulla base del rilievo che la evidente carenza dei requisiti di capacità tecnico-professionale in capo alla mandante ed il possesso, per contro, di tutti i requisiti per svolgere ex se i servizi in capo alla mandataria, dovevano naturalmente far pensare ad un “errore ostativo” nella dichiarazione occorsa al momento della proposizione della domanda partecipativa; in virtù del principio del favor partecipationis.
Pertanto, secondo i giudici di primo grado, correttamente le imprese erano state ammesse definitivamente alla selezione, vieppiù a seguito della interlocuzione istruttoria finalizzata all’accertamento della effettiva natura della formula partecipativa assunta dalle associate .
4.3 L’appellante si duole di tale ricostruzione ed evidenzia che la prevalente giurisprudenza amministrativa impone che sia il partecipante alla gara ad indicare in modo chiaro, nella domanda iniziale, in quale veste intenda partecipare alla selezione, senza che possano darsi interpretazioni diverse, a procedimento già avviato, da parte del seggio di gara, le quali si rivelerebbero senz’altro violative del principio della par condicio competitorum.
Inoltre l’appellante osserva che, nel caso di specie, non vi sarebbe margine per applicare l’istituto della cooptazione (volto a favorire la partecipazione alle gare delle imprese “minori” sfornite dei requisiti partecipativi richiesti dalla lex specialis ) in funzione di convalescenza della partecipazione alla gara, nella veste di cooptata, della mandante ATA Engineering; la porzione di servizio a quest’ultima affidata (mera “vestizione delle tavole”, senza alcun intervento nel campo dei rilievi topografici in autostrada), secondo la tardiva specificazione della partecipante, integrerebbe infatti una ipotesi di riparto qualitativo (e non meramente quantitativo) tra i servizi offerti, in contrasto con la lex specialis di gara, che pacificamente non ammetteva la partecipazione di associazioni di tipo verticale.
5. Le censure d’appello, così sintetizzate, sono da condividere.
La cd. “associazione per cooptazione”, già contemplata dall’art. 23 del d.lgs. n. 406/1991 (di attuazione della direttiva 89/440/CEE in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici ), si caratterizza per la possibilità, da parte delle imprese che intendano riunirsi in associazione temporanea e con i requisiti di partecipazione, di associare altre imprese iscritte all'(ex) albo nazionale dei costruttori, anche per categorie ed importi diversi da quelli richiesti nel bando, a condizione che i lavori eseguiti da queste ultime non superino il venti per cento dell’importo complessivo dei lavori oggetto dell’appalto e che l’ammontare complessivo delle iscrizioni possedute da ciascuna di tali imprese fosse almeno pari all’importo dei lavori che sarebbero stati ad essa affidati.
La norma è stata ripresa nel comma 4 dell’art. 95 del regolamento n. 554/1999 (applicabile ratione temporis alla presente controversia, ai sensi dell’art. 256, 4° comma, del d.lgs 163/ 06), per cui può ritenersi ancora operante l’istituto della cooptazione, il quale si caratterizza, come già osservato, per la possibilità di far partecipare all’appalto anche imprese di modeste dimensioni, non suscettibili di raggrupparsi nelle forme previste dai commi 2 e 3 del citato art. 95, purché l’ammontare complessivo delle qualificazioni possedute sia almeno pari all’importo dei lavori che sarebbero stati ad essa affidati e i lavori eseguiti dalle cooptate non superino il 20% dell’importo complessivo dei lavori (cfr. Cons. Stato, sez. V, 1° settembre 2009, n. 5161; Cons. Stato, sez. V, 11 giugno 2001, n. 3129 e Id., 25 luglio 2006, n. 4655; nonché , ex plurimis, T.A.R. Salerno, sez. I, 7 luglio 2006, n. 954).
6. Tuttavia, anche ad ammettere che l’istituto della cooptazione, le cui coordinate normative di riferimento sono state dianzi evidenziate, sia un istituto di carattere generale, e come tale applicabile, in astratto, anche in materia di servizi, nondimeno la sua concreta applicazione non può prescindere da una chiara e comunque espressa volontà del partecipante alla gara, il quale è onerato di indicare, già nella domanda di partecipazione, se e quali imprese intenda cooptare nella esecuzione del lavoro o del servizio.
Per vero, una parte della giurisprudenza ritiene che la possibilità dell’impresa singola o delle imprese che intendano riunirsi in associazione temporanea, in possesso dei requisiti di cui all’articolo 95 citato, di associare, nei modi di cui al comma 4, altre imprese qualificate anche per categorie ed importi diversi da quelli richiesti nel bando, sia insita nello stesso dettato normativo che impone alle imprese cooptate il solo obbligo della qualificazione e il solo limite percentuale delle opere (in termini, Cons. Stato, sez. V, 11 giugno 2001, n. 3129); nondimeno appare preferibile ribadire (in conformità ad un più recente e meglio argomentato orientamento: per tutte cfr. Cons. Stato n. 5161/2009 cit.) come tale possibilità sia, piuttosto, subordinata ad un’espressa dichiarazione, risultante dalla domanda di partecipazione alla gara, in assenza della quale è da ritenere sussistente la figura (di carattere generale) della associazione temporanea (orizzontale o verticale).
E ciò sia in osservanza al principio della par condicio fra i partecipanti alla gara (non potendosi costringere l’Amministrazione a verificare tutte le ipotesi interpretative in astratto consentite dalla normativa vigente, ai fine di ricondurvi la tipologia realizzata da taluno dei concorrenti), sia in considerazione del diverso grado di impegno, responsabilità e garanzia dei partecipanti alla riunione (che vale a differenziare significativamente l’associazione ordinaria di imprese dalla associazione in cooptazione) cui si riconnette un diverso onere di dimostrazione del possesso dei requisiti di qualificazione.
Se ne deve dedurre – non essendo, con ogni evidenza, in contestazione la evidenziata diversità giuridica delle due figure – che la controversia va risolta esaminando il tenore della “dichiarazione, risultante dalla domanda di partecipazione alla gara”, la quale (in assenza di una espressa manifestazione della volontà di avvalersi della cooptazione) doveva indurre, giusta il richiamato principio, a “ritenere sussistente la figura generale di associazione temporanea” (così, ancora, Cons. Stato, n. 5161/2009 cit.), senza alcuna pratica possibilità di ricorso alla cooptazione.
Infatti è palese che nella domanda di partecipazione alla gara le imprese in ati costituenda hanno dichiarato di partecipare nella forma dell’associazione costituenda, con il rituale impegno a conferire mandato collettivo speciale con rappresentanza ad una delle associate (S.IT Geo) in caso di aggiudicazione.
Nessun riferimento le imprese compiono in ordine alla possibilità di cooptare altri soggetti nella esecuzione della commessa, né tampoco nel dar luogo ad una cooptazione inter se, risultando tale formula partecipativa non soltanto non espressa ma addirittura contraddittoria con quella, al contrario ben espressa, di associazione temporanea da costituire (dato che, essendo soltanto due le imprese associate, se vi è cooptazione di una delle associande non vi può essere ATI, venendo meno uno dei soggetti costitutivi)
7. Le considerazioni appena svolte sono già di per sé sufficienti a ritenere illegittima la determinazione di ammettere alla gara, all’esito della non consentita operazione ermeneutica di cui si è detto, l’associazione aggiudicataria, nonostante la palese carenza dei requisiti di capacità tecnico professionale in capo alla impresa mandante.
Nondimeno, il Collegio per esigenze di completezza osserva come si rilevi fondato anche l’ulteriore censura, afferente la inammissibile scomposizione, nel caso in esame, dei servizi offerti dalle associate sul piano qualitativo.
Sul punto mette conto evidenziare che un riparto qualitativo delle lavorazioni o dei servizi offerti dalle associate (cioé un riparto di tipo eterogeneo delle prestazioni offerte) in tanto è possibile in quanto la stazione appaltante lo abbia anche implicitamente ammesso attraverso la indicazione delle opere scorporabili (in materia di lavori) ovvero dei servizi secondari (in materia di servizi); quante volte ciò non accada l’unico riparto ammesso tra le prestazione delle associate è di tipo quantitativo, cioè tra lavorazioni e servizi aventi carattere omogeneo.
Ne consegue che nel caso in esame, in cui la stazione appaltante non aveva distinto tra servizi principali ed accessori, non era configurabile, anche a voler ammettere (quod non, per quanto già detto) l’applicabilità alla fattispecie dell’istituto della cooptazione, un riparto qualitativo delle prestazione d’appalto che affidava alla mandante la sola “ vestizione delle tavole”, trattandosi di attività secondaria ed accessoria (rispetto all’oggetto principale dell’appalto, rappresentato dai rilievi topografici) non affidabile in via autonoma ed esclusiva , in carenza delle necessarie indicazioni nella legge di gara, ad una soltanto delle associate.
In altri termini, non erano ammesse associazioni di imprese di tipo verticale, ma solo di tipo orizzontale, di tal che nessun partecipante poteva difettare di quelle esperienze dirette in campo autostradale, richieste per soddisfare i requisiti tecnico-professionali per la effettuazione dei servizi principali oggetto di gara.
8. L’accoglimento della domanda principale di annullamento degli atti impone l’esame della domanda risarcitoria accessoria. E’ evidente infatti che, essendo stata già esperita la gara ed integralmente eseguito il contratto stipulato con l’ati aggiudicataria, la violazione dell’interesse (partecipativo) della ricorrente può trovare riparazione soltanto per equivalente, e non più in forma specifica.
8.1 Va premesso, che non rileva nel presente giudizio la questione di carattere generale se, nella materia degli appalti e ove un provvedimento sia risultato illegittimo, sia ravvisabile una responsabilità in assenza di una specifica rimproverabilità degli organi amministrativi.
Infatti, nel caso in esame l’ammissione alla gara di una impresa priva dei relativi presupposti, in violazione delle regole del bando, evidenzia la sussistenza di una specifica rimproverabilità, che d’altra parte neppure risulta specificamente contestata dall’Amministrazione, che non ha invocato alcuna giustificazione.
Osserva al riguardo la Sezione che l’aggiudicazione è stata disposta mediante una violazione grave delle regole partecipative poste in base alla normativa comunitaria e nazionale sui contratti pubblici, giacché la proposizione della domanda partecipativa in forma di associazione ordinaria tra imprese e la conclamata carenza dei requisiti partecipativi in capo ad una delle associate (in relazione all’unica formula partecipativa di associazione di tipo orizzontale consentita dalla lex specialis ) doveva far propendere la stazione appaltante per la esclusione della associazione risultata aggiudicataria.
Quanto alla sussistenza del nesso di causalità e di un danno, ove fosse stata disposta tale esclusione, la odierna appellante avrebbe avuto la quasi certezza di rimanere aggiudicataria della gara (la previsione in termini di certezza assoluta è impedita dalla sussistenza del potere di disporre i consueti controlli sul possesso di tutti i requisiti dichiarati nella domanda).
8.2 Orbene, venendo alla quantificazione del danno, va premesso che la società ricorrente ha chiesto di essere ristorata delle seguenti voci di danno, nelle misure di seguito indicate:
a) euro 138.672,80, corrispondente al 20% della propria offerta, a titolo di mancato guadagno;
b) euro 69.336,40 , corrispondenti al 5% dell’offerta, a titolo di imprevisti e spese generali;
c) euro 27.200,00 ed euro 35.340,00 per il mancato ammortamento, rispettivamente, delle strumentazioni e delle macchine;
d) euro 50.000,00 per danno all’immagine e per danno curriculare.
In totale, la domanda risarcitoria è stata determinata in euro 320.539,20 oltre alla maggiorazione per interessi e rivalutazione monetaria.
8.3 Il Collegio ritiene di dover accogliere la domanda risarcitoria soltanto nei limiti di cui appresso. La perdita di chance va rapportata in termini percentuali all’utile in astratto conseguibile in ipotesi di aggiudicazione della gara ed esecuzione dell’appalto: utile che, secondo un consolidato criterio, va presuntivamente stimato nel 10% dell’importo posto a base d’asta, ribassato dall’offerta presentata (Cons. Stato, V, 8 luglio 2002, n. 3796; IV, 6 luglio 2004, n. 5012).
Tale quantificazione va qui poi congruamente ridotta, sia perché si tratta di risarcire una mera chance di aggiudicazione, sia perché l’interessata non ha dimostrato di essere stata nell’impossibilità di utilizzare, durante il tempo di esecuzione del servizio per cui è giudizio, mezzi e maestranze per l’espletamento di altri e diversi servizi (Cons. Stato, V 24 ottobre 2002, n. 5860; VI, 9 novembre 2006, n. 6607).
Invero, come di recente rilevato da questa Sezione (Cons. Stato, VI, 18 marzo 2011, n. 1681), ad evitare che a seguito del risarcimento il danneggiato possa locupletare un effetto finanziario addirittura migliore rispetto a quello in cui si sarebbe trovato in assenza dell’illecito, dal decimo dell’importo così stimato va detratto quanto percepito dall’impresa grazie allo svolgimento di attività lucrative diverse, nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l’appalto in contestazione.
Nondimeno, l’onere di provare (l’assenza del)l’aliunde perceptum vel percipiendum grava non sull’Amministrazione, ma sull’impresa: e ciò in ragione della presunzione, secondo l’id quod plerumque accidit, che l’imprenditore normalmente diligente (cfr. art. 1227 Cod. civ.) non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma persegue occasioni contrattuali alternative, dalla cui esecuzione trae il relativo utile.
Ciò premesso, appare equo riconoscere alla appellante, a titolo di utile mancato, la somma di euro 34.668,00 corrispondente al 5% della offerta presentata in gara dalla appellante.
La somma appare congrua, avuto riguardo alle concrete chances di aggiudicazione (indubbiamente molto alte), alla media degli utili che le imprese normalmente traggono dalla partecipazione alle gare (media che negli ultimi anni si è ridotta, a fronte della maggiore competitività indotta dalle accresciute regole di pubblicità imposte alle stazioni appaltanti).
Inoltre, il Collegio, nel contenere l’entità del risarcimento da lucro cessante nei termini percentuali suindicati, non può non tener conto del fatto che l’appellante non ha eseguito il servizio e che non ha dato prova di essere rimasta inerte nel tempo che avrebbe dovuto impiegare, ove ne fosse rimasta aggiudicataria, per la esecuzione del contratto d’appalto.
Tale ultima considerazione, in ordine alla mancata prova negativa dell’aliunde perceptum vel percipiendum, dà conto della mancata liquidazione in favore della appellante delle ulteriori voci risarcitorie; in particolare non si può ritenere spettante alla appellante la somma richiesta per il mancato ammortamento dei mezzi e delle attrezzature ovvero a titolo di danno curriculare (dato che se ha eseguito altre opere o servizi è in quell’ambito oggettuale che può imputare gli ammortamenti ovvero può aver arricchito, magari in misura maggiore, il suo curriculum).
Infine non può spettare alcunché a titolo di imprevisti e spese generali di partecipazioni, dato che si tratta di poste insite nel rischio imprenditoriale di chi partecipa alle commesse pubbliche e che non ricevono autonoma considerazione neppure in confronto dell’aggiudicatario (che si remunera soltanto con gli utili di impresa).
In definitiva, all’appellante spetta la somma di euro 34.668,00 a titolo di risarcimento del danno, cui vanno aggiunti, trattandosi di debito di valore e non di valuta, gli interessi legali e la rivalutazione monetaria (da calcolare separatamente sugli importi nominali del credito), a decorrere dalla data della illegittima aggiudicazione e fino al soddisfo.
9. Da ultimo il Collegio deve precisare, per quanto nessuna richiesta di condanna sia stata articolata nei confronti della associazione aggiudicataria (pur evocata in giudizio quale controinteressata), che la responsabilità civile da illegittima aggiudicazione, nel caso che ne occupa, ha natura solidale, in quanto l’errore (pur inescusabile) della stazione appaltante è stato indotto dal comportamento della odierna ati controinteressata, manifestatosi sia in occasione della domanda partecipativa (dal cui tenore alcun riferimento all’istituto della cooptazione poteva desumersi), sia nella richiamata comunicazione del 9 ottobre 2006, in cui per la prima volta compare il riferimento a tale nuova formula partecipativa, e si realizza la sostanziale mutazione della veste soggettiva di partecipazione. Pertanto, in base al principio desumibile dall’art. 2055 del codice civile va affermata, ai soli fini della statuizione di accertamento, la natura solidale della responsabilità civile di che trattasi, e ciò anche ai fini dell’eventuale azione di regresso che la stazione appaltante potrà intraprendere per rivalersi, nel concorso di tutte le ulteriori condizioni legittimanti, nei confronti della società beneficiaria degli atti illegittimi e che ha indotto alla loro emanazione (cfr. l’art. 41, comma 2, ultima parte, del Codice per il processo amministrativo)
10 In definitiva, l’appello va in parte accolto e, in riforma della impugnata sentenza, vanno annullati l’atto di aggiudicazione e il provvedimento di aggiudicazione impugnati in primo grado e va accolta, nei limiti di cui innanzi, la domanda risarcitoria proposta dall’odierno appellante.
Le spese di lite dei due gradi seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello n. 9770 del 2007, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza, accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso di primo grado, con l’annullamento degli atti impugnati e la condanna della s.p.a. Autostrade del Brennero al risarcimento dei danni nella misura ivi indicata.
Condanna la appellata s.p.a. Autostrade del Brennero a rivalere l’appellante delle spese e degli onorari del doppio grado di giudizio, che liquida in complessivi euro 10.000,00 (diecimila/00), oltre Iva e CAP come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 ottobre 2011 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/01/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Cosenza