In quali casi si ha diritto alla protezione internazionale?
L’interrogativo, di preponderante attualità, alla luce nei numerosi conflitti bellici e dei drammi umanitari che ne derivano, conosce una recente presa di posizione da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in termini favorevoli allo straniero.
Prima di addentrarci nella risposta resa dall’Organo di giustizia sovranazionale, occorre comprendere il corretto perimetro dell’istituto denominato protezione internazionale.
Si tratta, come notorio, di uno strumento di tutela della persona che trova un primo presupposto nella stessa Costituzione Italiana (il cui art. 10 così recita: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”), e poi nella normativa europea dalla Direttiva 2004/83/CE, recepita in Italia con il d.lgs. N° 251 del 19 novembre 2007, successivamente modificato dalla Direttiva 2011/95/UE, recepito a sua volta in Italia con il d.lgs. N° 18 del 21 febbraio 2014.
La protezione internazionale, tramite asilo politico, richiede appurare la sussistenza di taluni presupposti, sostanziatisi principalmente nel fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, se i suddetti motivi non consentono allo straniero di trovare adeguata protezione, una volta fatto rientro nel proprio paese.
E’ altrettanto risaputo che, tali fattori di persecuzione, non debbono necessariamente sussistere in capo allo straniero richiedente protezione, essendo a tal fine sufficiente che le suddette caratteristiche vengano attribuite da parte del responsabile delle condotte persecutorie.
Ed è proprio sulla base dei requisiti richiesti ai fini dell’attuazione di tale strumento che si instaura la pronuncia ultima della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Grande Sezione), definita con sentenza datata 11 giugno 2024 (causa C-646/21), per effetto della quale la Corte ha inteso ampliare le possibili premesse volte ad accordare lo status di rifugiato. Nello specifico, la controversia riguardava due minori irachene giunte nei Paesi Bassi nel corso del 2015, accompagnate dai loro genitori e dalla zia. Le domande di asilo, presentate dai genitori per i medesimi e per le figlie, venivano respinte dal paese europeo. In un secondo momento, ed in particolare nell’anno 2019, le domande di protezione internazionale venivano riformulate, sul presupposto che, a causa del loro soggiorno prolungato, le figlie avessero acquisito le norme, i valori e i comportamenti dei giovani della loro età nella società europea, assimilando il corollario fondamentale della parità tra donne e uomini. Le donne si erano irreversibilmente “occidentalizzate”, ed il loro eventuale ritorno in Iraq avrebbe costituito un grave pericolo per incolumità delle donne, alla luce della diversità culturale. Anche queste domande, tuttavia, venivano respinte dall’autorità dei Paesi Bassi, e ciò rendeva necessario per le due donne ricorrere al giudice Nazionale, il quale ha tuttavia deciso di interrogare la CGUE sull’interpretazione della normativa europea in tema di protezione internazionale.
La CGUE, analizzato il caso e la normativa di riferimento, dopo avere premesso la insussistenza di uno specifico onere di allegazione probatoria (è da intendersi contrario all’art. 4 della Direttiva 2011/95 ascrivere al richiedente la allegazione di tutti gli elementi a sostegno della domanda di protezione internazionale, che ben possono essere scrutinate dalle autorità competenti, per la posizione di privilegio derivante da un più facile accesso ai documenti), ed al contempo l’obbligo di analitica istruttoria, anche a fronte di domanda solo reiterata, ha concluso stabilendo come, le donne che si identificano nel valore della parità con gli uomini, a seguito di un soggiorno prolungato in uno stato diverso da quello di origine, possono essere considerate a tutti gli effetti quali membri di un “gruppo sociale”, passibile di essere perseguitato. Tutto ciò rende, pertanto, idoneo il riconoscimento dello status di rifugiato.
Le considerazioni suesposte sono ancora di più acuite, a giudizio della Corte, dallo status di minorenni da parte delle richiedenti, in conformità a quanto sancito dall’art. 24, comma secondo, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 11 Giugno 2024).
Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Cosenza Napoli