L’Alto Consesso riconosce come anche il lavoro domestico sia suscettibile di traduzione monetaria, in ipotesi di sinistro stradale.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 11 novembre 2011, n. 23573
(Pres. Filadoro – Rel. Massera)
Svolgimento del processo
1.- Con sentenza in data 2-6 settembre 2009 il Tribunale di Catania, attribuita la responsabilità del sinistro nella misura dell’80% all’automobilista G.C. e del 20% al motociclista M.R., condannò i medesimi e i rispettivi assicuratori a pagare in solido Euro 125.188,14 a favore di B.C., trasportata a bordo del motociclo.
2.- Con sentenza in data 18 giugno – 12 agosto 2008 la Corte d’Appello di Catania ridusse la somma dovuta alla B. ad Euro 93.891,10.
La Corte territoriale osservava per quanto interessa: la responsabilità era stata ripartita correttamente tra i due conducenti; risultava che la B. non indossava il casco protettivo; il C.T.U. aveva spiegato che il suo uso avrebbe potuto ridurre presumibilmente del 25% l’entità delle lesioni da costei subite; in analoga proporzione andavano ridotti i danni patiti; la danneggiata non aveva dimostrato il danno patrimoniale.
3. – Avverso la suddetta sentenza la B. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Gli intimati non hanno espletato attività difensiva. La ricorrente ha presentato memoria.
Motivi della decisione
1.1 – Il primo motivo, lamenta, denunciando insufficienza di motivazione, l’affermata omessa allegazione di fatti idonei a dimostrare un danno patrimoniale futuro sotto il profilo del danno emergente e/o del lucro cessante.
1.2.- Effettivamente è orientamento generale consolidato della Corte (confronta, ex multis, Cass. Sez. III 24 febbraio 2011, n. 4493) che la liquidazione del danno patrimoniale da riduzione della capacità di lavoro e di guadagno non può costituire un’automatica conseguenza dell’accertata esistenza di lesioni personali, ma esige che sia verificata la attuale o prevedibile incidenza dei postumi sulla capacità di lavoro, anche generica, della vittima.
Per quanto riguarda, in particolare, la casalinga, è ormai certo (vedi Cass. Sez. III, 13 luglio 2010, n. 16392) che il danno da riduzione della capacità di lavoro, sofferto da persona che – come la casalinga – provveda da sé al lavoro domestico, costituisce una ipotesi di danno patrimoniale, e non biologico. Ne consegue che chi lo invoca ha l’onere di dimostrare che gli esiti permanenti residuati alla lesione della salute impediscono o rendono più oneroso (ovvero impediranno o renderanno più oneroso in futuro) lo svolgimento del lavoro domestico; in mancanza di tale dimostrazione nulla può essere liquidato a titolo di risarcimento di tale tipologia di danno patrimoniale. Ma l’applicazione di tali principi non può avvenire automaticamente e senza analizzare le peculiarità del caso concreto. Il C.T.U. nominato in primo grado attribuì alla B. una invalidità permanente pari al 42%. ma escluse che le lesioni potessero incidere sulla svolgimento della sua attività. Proprio in considerazione delle ragioni addotte con l’atto di appello, la stessa Corte territoriale ritenne opportuno disporre il rinnovo della C.T.U. e il nuovo consulente attribuì alle lesioni patite dalla B. una incidenza sulla capacità lavorativa di casalinga del 25%. A questo punto si impongono due considerazioni: a) non è razionale ritenere che una invalidità permanente particolarmente elevata non spieghi alcuna conseguenza sull’attività di casalinga; b) è contraddittorio disporre il rinnovo della C.T.U. in accoglimento di tesi prospettate con l’atto di appello e poi, dopo l’esito favorevole dell’accertamento medico – legale, rimproverare alla parte istante di non avere offerto elementi idonei. Il motivo in esame merita, dunque, accoglimento.
2.1 – Il secondo motivo censura, ancora sotto il profilo del vizio di motivazione, il concorso di colpa attribuito alla ricorrente per non avere indossato il casco.
2.2. – La censura è infondata. La Corte territoriale, rilevato che il R. aveva dichiarato che la B. , al momento del sinistro, aveva il casco in mano, ha recepito i rilievi del C.T.U. da essa incaricato, secondo il quale doveva ritenersi che il casco protettivo avrebbe potuto presumibilmente ridurre del 25% l’entità delle lesioni, le quali pacificamente hanno interessato soprattutto il cranio e il volto.
3.- Pertanto il primo motivo merita accoglimento, mentre il secondo va rigettato. Spese rimesse.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo. Cassa in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Catania in diversa composizione.
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Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Cosenza