Il Giudice amministrativo respinge l’impugnativa spiegata dallo straniero, interposta dopo essersi visto negare la cittadinanza italiana, sul presupposto della mancata dimostrazione di permanenza nel territorio italiano durante il decennio utile. La prefettura competente per territorio all’istruttoria amministrativa, in dettaglio, rilevava come, dalla documentazione fornita dall’Ufficio anagrafe, il richiedente fosse stato cancellato in quanto irreperibile all’indirizzo di residenza, salvo poi regolarizzare la suddetta fattispecie dopo oltre un anno. Lo straniero si difendeva sul punto, allegando nella sede processuale trattarsi di mera dimenticanza, passibile di apposita dimostrazione, operata tramite documenti tesi a comprovare la stabile permanenza nel territorio italiano per tutto il decennio. Approccio difensivo in detti termini aderente alla circolare ministeriale n. 22/2007, tesa a stabilire –seppure con riferimento ai minori stranieri nati in Italia– la priorità della residenza effettiva, se dimostrata, sull’iscrizione anagrafica. Di contrario avviso il TAR Lazio, secondo cui l’art. 9 lett. f) della legge n. 91/1992, nel prevedere la concessione di cittadinanza italiana allo straniero che risieda legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica, va inteso nel senso che “la parola “almeno” evidenzia che la disposizione primaria qualifica il decennio della residenza in Italia non come requisito per la proposizione della domanda, con irrilevanza di ciò che avviene dopo di essa, ma come necessario requisito di fatto che deve perdurare pur dopo la maturazione del decennio, sino al momento del giuramento“. Siffatta premessa è da ritenere indicativa della ratio impressa dal legislatore, e solo la stabile presenza ultradecennale conforta un solido radicamento con il paese, senza il quale non può accordarsi la cittadinanza italiana. La necessaria pregnanza di tale legame territoriale impone operare un distinguo tra il mero soggiornante di fatto, e colui il quale ha formalizzato siffatto connubio, ed in detto contesto non può assumere rilievo il tempo trascorso dallo straniero sul nostro territorio in posizione di mera “residenza abituale”, ma solo quello in “posizione di legalità”, in quanto “indicativo della piena integrazione nel tessuto nazionale da parte dell’aspirante cittadino”. Alla stregua di quanto sopra, l’interessato può dimostrare la residenza solo tramite dalla certificazione anagrafica, e non tramite allegazioni eterogenee, essendo i registri anagrafici gli unici strumenti dotati di valenza legale per accertare l’accertamento della popolazione residente. In termini del tutto coerenziati, l’art. 1, d.P.R. n. 362 del 1994 e l’art. 1 comma 2 lett. a), d.P.R. n. 572 del 1993, se la prova della residenza può essere fornita solo con riferimento alle risultanze dei registri dell’anagrafe dei residenti, non è possibile ovviare tramite elementi surrogativi della fattispecie legale (TAR Lazio, Sezione Quinta bis, sentenza N° 13815 del 18 Settembre 2023).
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