Il coniuge divorziato che instaura una convivenza di fatto mantiene il diritto a percepire l’assegno divorzile?
Per i Giudici di legittimità, in assenza di un nuovo matrimonio, il diritto all’assegno di divorzio (disciplinato dall’art. 5, comma VI°, L. N° 898/1970) in linea di principio non viene meno, seppure il beneficiario instauri una convivenza “more uxorio”, salvo che, in detta evenienza, non sussistano i presupposti per la revisione dell’assegno.
La Corte di Cassazione scandisce un nuovo distinguo nella complessa tematica che concerne la sorte dell’assegno divorzile nel passaggio a nuova convivenza, ritenuto in passato circostanza idonea alla immediata interruzione del diritto economico anzidetto.
Come notorio, il perdurante riconoscimento dell’assegno divorzile, in favore dell’ex coniuge che abbia instaurato una convivenza “more uxorio” è stato oggetto, soprattutto negli ultimi anni, di alterne vedute, non sempre tra loro collimanti.
Con una prima sentenza del 3 aprile 2015, N° 6855, i Giudici di legittimità, muovendo dal concetto di “famiglia di fatto”, quale non mera convivenza “more uxorio”, bensì vera famiglia, portatrice di valori di solidarietà, sviluppo e realizzazione della persona umana, hanno affermato il principio secondo cui viene meno il riconoscimento dell’assegno divorzile al coniuge divorziato che abbia instaurato una convivenza di fatto, data l’idoneità di questa di rescindere ogni connessione con il modello di vita precedente e di far venir meno i presupposti necessari per il riconoscimento dell’assegno.
Opposta visione è stata prospettata nella successiva sentenza N° 32198 del 2021, tesa a professare l’inidoneità della convivenza a rescindere gli obblighi economici divorzili, in assenza di un minuto supporto normativo, ed altresì perché, come rilevato dalla stessa Corte nella sentenza 18287 del 2018, l’assegno divorzile consta di due componenti, quella assistenziale e perequativo-compensativa.
La sopravvenuta convivenza di fatto può intendersi idonea e recidere la componente assistenziale, ma non il profilo perequativo-compensativo, quale riconoscimento dell’apporto “dato dal coniuge debole con le sue scelte personali e condivise in favore della famiglia, alle fortune familiari e al patrimonio dell’altro coniuge, che rimarrebbe ingiustamente sacrificato e non altrimenti compensato. Si è così affermato come, se l’ex coniuge, il quale poi ha deciso di costituire una convivenza, era il soggetto economicamente più debole, ancor più per le scelte di vita assunte in favore della famiglia poi disgregatasi, ha comunque diritto alla corresponsione assegno divorzile, per la sola parte compensativa.
L’approccio suesposto appare in certa misura rivisitato dal pronunciamento ultimo della Corte, dove si afferma un diverso principio: in dettaglio, se per un verso l’instaurazione della convivenza di fatto non è in grado, in maniera automatica, di far venire meno tale obbligo economico divorzile, qualora sussistano i presupposti per la revisione dell’assegno ex art. 9, co.1, L. 1 dicembre 1970, n. 898 -come sostituito dall’art. 13 L. 6 marzo 1987, n.74-, ovvero che l’onerato sia in grado di fornire la prova di un mutamento “in melius” delle condizioni economiche in capo all’ex coniuge, “pur se non assistito da garanzie giuridiche di stabilità, ma di fatto adeguatamente consolidato e protraentesi nel tempo”, il riconoscimento dell’assegno divorzile può venir meno.
Come ben illustrato nell’Ordinanza, la prova non può essere limitata alla mera instaurazione ed al permanere di una convivenza “more uxorio”, richiedendosi allegare quegli elementi dai quali poter desumere, tenuto conto delle circostanze che caratterizzano il caso, un miglioramento delle “condizioni economiche del titolare” (Corte di Cassazione, Ordinanza del 07 marzo 2024, N° 6111).
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