Giuseppe Napoleone Re di Napoli e di Sicilia,
Udito il nostro Consiglio di Stato;
Abbiamo ordinato e ordiniamo quanto siegue:
Art. 1. — La feudalità con tutte le sue attribuzioni resta abolita. Tutte le giurisdizioni sinora baronali, ed i proventi qualunque, che vi siano stati annessi, sono reintegrati alta sovranità, dalla quale saranno inseparabili.
Art. 2. — Tutte le città, terre, e castelli, non esclusi quelli annessi alla corona, abolita qualunque differenza, saranno governati secondo la legge comune del Regno.
Art. 3. — La nobiltà ereditaria è conservata. I titoli di principe, di duca, di conte e di marchese, legittimamente conceduti, rimangono agli attuali possessori, trasmessibili ai discendenti in perpetuo, con ordine di primogenitura, e nella linea collaterale sino al quarto grado.
An. 4. — Il diritto di devoluzione a favore del fisco rimane estinto, come ancora il peso dell’adoa, del rilevio, del jus tapeti, e quindennio. I creditori delle partite di adoe alienate, saranno creditori del pubblico tesoro.
Art. 5. — I fondi, e rendite finora feudali saranno, senza alcuna distinzione, soggetti a tutti i tributi.
Art. 6. — Restano abolite, senza alcuna indennizzazione, tutte le angarie, le parangarie, ed ogni altra opera, o prestazione personale, sotto qualunque nome venisse appellata, che i possessori de’ feudi per qualsivoglia titolo soleano riscuotere dalle popolazioni e dai particolari cittadini.
Art. 7. — Tutti i diritti proibitivi restano egualmente aboliti senza indennità. Ai soli possessori, che esibiranno o un’espressa concessione per titolo oneroso, o una compra fatta dal fisco, o un giudicato definitivo a loro favore, sarà data una indennizzazione corrispondente; salve le ragioni ai possessori di dritto proibitivo convenzionale per una indennizzazione contro le Comuni, da esperimentarsi nel Tribunale competente. Sono per ora conservati quei dritti proibitivi, che le Univerità del Regno hanno imposto volontariamente a se stesse, e loro cittadini, per contribuire colla loro rendita ai pubblici pesi, e ciò fino a che non siasi stabilito altro modo di soddisfarli.
Art. 8. — I fiumi, abolito qualunque diritto feudale, restano di proprietà pubblica, e l’uso di essi dovrà essere regolato secondo gli stabilimenti del diritto romano.
Art. 9. — Saranno conservate, come beni burgensatici, tutte le macchine idrauliche dei molini, trappeti, valchiere, cartiere, ferriere, tintiere, ramiere e simili, che posseggono, animate dai fiumi pubblici; non escluse le fabbriche, acquidotti e le altre opere manofatte per servizio delle stesse macchine.
Art. 10. — Nei fiumi pubblici potrà ognuno, come anche nelle loro ripe, costruirvi scafe, ponti, ed altra qualunque opera, dopo che ne avrà ottenuto da Noi, o dai magistrati, che destineremo, la licenza, la quale si concederà subito che si conosca di recare utile al pubblico e di non nuocere ai diritti dei privati.
Art. 11. — Sarà praticato lo stesso sistema per tutti coloro, che vogliono deviare le acque dai fiumi pubblici, per irrigazioni, ed altri usi di utile pubblico, senza danno dei privati.
Art. 12. — Tutti i diritti, redditi, e prestazioni territoriali, cosl in denaro, come in derrate, saranno conservati, e rispettati come ogni altra proprietà. Le Università o particolari che avranno diritto dedotto, o non dedotto per contendére tali proprietà, adiranno i Tribunali competenti per la giustizia. Ci riserviamo di provvedere per quei diritti, e prestazioni pregiudizievoli all’agricoltura, col farli redimibili a favore dei contribuenti, colla surrogazione dei canoni in denaro, ed intanto viene espressamente proibita qualunque novità di fatto.
Art. 13. — Ad oggetto che a’ possessori de’ feudi, specialmente nella Provincia di Lecce, non sia frodata la decima dell’olio, che finora hanno esatto nei trappeti feudali, quando le parti non si mettano d’accordo, la detta decima dovrà pagarsi o in olive o in olio, precedente apprezzo; non volendo che colla abolizione de’ dritti proibitivi venga diminuita la solita prestazione.
Art. 14. — Di tutte le giurisdizioni, e dritti di portolania, bagliva, zecca di pesi e misure, scannaggio e simili, possedute sinora da molte Università del Regno, ne sarà fino a nostro sovrano ordine conservato da esse l’esercizio in nostro nome. Quelle possedute sinora da’ possessori de’ feudi, saranno anche date alle rispettive Università, che ne terranno l’esercizio nel modo medesimo, e ne pagheranno a titolo di annualità, quella somma, che i possessori attualmente ne percepiscono. Il capitale potrà essere affrancato alla ragione del cinque per cento. Le Università, che crederanno di aver ragione su tali corpi, potranno sperimentarle nei Tribunali competenti, senza impedirsi il pagamento.
Art. 15. — I demani, che appartenevano agli aboliti feudi, restano agli attuali possessori. Le popolazioni egualmente conserveranno gli usi civici e tutti i diritti, che attualmente posseggono su dei medesimi, fino a quando di detti demani non ne sarà con altra nostra legge determinata e regolata la divisione, proporzionata al dominio e diritti rispettivi. Intanto espressamente rimane proibita qualunque novità di fatto.
Art. 16. — Sarà libero ai possessori di espellere i fittuari, terminato l’affitto, e di affittare i loro fondi ad altri, o urbani o rustici che siano; ma se con iscrittura, per tolleranza o peruso, siasi contratta enfiteusi, colonia perpetua o di tempo lungo, seguirà l’espulsione dell’enfiteuta o del colono, quando per giustizia verrà accordata dal magistrato.
Art. 17. — La feudalità degli officl è soppressa. Nientedimeno i possessori attuali continueranno a goderne provvisoriamente fino a nostra nuova disposizione.
Art. 18. — Le dogane, piazze, ed altri dritti simili, estinta anche la qualità feudale, restano agli attuali possessori nel modo, come si trovano, fino a che non saranno date le disposizioni necessarie pel buon regolamento delle dogane, e per l’indennizzazione dei legittimi possessori.
Art. 19. — I suffeudi restano parimenti aboliti, ma le adoe e qualunque prestazione suffeudale, che solea pagarsi a’ possessori de’ feudi principali, saranno conservate col carattere di censi riservativi, soggette però ad essere ricomprate in denaro per lo giusto prezzo da valutarsi.
Art. 20. — Tutti i redditi feudali in denaro o in generi, che si contribuiscono per le tenasie, qualunque ne sia l’origine da’ possessori de’ fondi, saranno conservati e sottoposti alla stessa facoltà di ricomprarsi in danaro, come nell’articolo precedente.