Debiti società cancellata

IL FISCO PUO’ FAR VALERE LE PROPRIE PRETESE TRIBUTARIE CONTRO GLI EX SOCI DELLA SOCIETA’ ESTINTA?

La domanda appena posta inerisce ad una tematica molto attuale, vista la frequente cancellazione dal Registro delle Imprese di società indebitate con il fisco, spesso fattore di impossibilità a conseguire l’oggetto sociale prefissato dalla compagine. Tale interrogativo, già per tempo affrontato dalla Corte di Cassazione con risposta favorevole alle ragioni dell’Amministrazione finanziaria, trova oggi un riscontro ancora più dettagliato nella recente sentenza a Sezioni Unite N° 3625 del 12 febbraio 2025.

Ancor prima di illustrare la soluzione fornita, un preliminare passaggio deve riguardare la vicenda contenziosa sottostante, da cui è scaturito il principio di diritto.

La vertenza insorge allorquando l’Agenzia delle Entrate notificava, ad una società in liquidazione, un avviso di accertamento con cui, vista la mancata presentazione del modello Unico per l’anno di riferimento, veniva rideterminato induttivamente (art. 39 DPR N° 600/1973) in Euro 887.332,00 il volume di affari Iva, ed in Euro 200.200,00 il reddito ai fini Ires e Irap, recuperando le maggiori imposte dovute con relative sanzioni. La società impugnava l’avviso di accertamento e la Commissione Tributaria Provinciale lo accoglieva in parte, ritenendo legittima solo l’Iva e rideterminandone l’ammontare.

Tuttavia, poco dopo la sentenza, la società veniva cancellata dal Registro delle Imprese di Treviso, e l’Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso la sentenza chiamando in giudizio, non più la società, bensì i soci di questa affermando preliminarmente la loro responsabilità ex art. 2495 cc (ricordiamo lo stesso prevede al comma 3: “Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi”) e art 36, comma 3, d.P.R. 602/73 (“ I soci o associati, che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile. Il valore del denaro e dei beni sociali ricevuti in assegnazione si presume proporzionalmente equivalente alla quota di capitale detenuta dal socio od associato, salva la prova contraria”); rilevava altresì la presenza di un credito della società verso il Fisco per annualità pregresse, pur in presenza di un bilancio finale di liquidazione che nulla aveva attribuito ai soci, e come tale suscettibile di compensazione.

A tale pretesa, si opponevano i soci sostenendo preliminarmente l’impossibilità di prosecuzione del giudizio, vista la avvenuta cancellazione della società, e la carenza di legittimazione passiva dei soci, poiché non destinatari di somme o beni in sede di liquidazione, presupposto previsto dallo stesso art. 2495 cc.

La Corte d’Appello adita procedeva ad accogliere l’appello, ed affermava la legittimità dell’avviso di accertamento, osservando come l’Agenzia delle Entrate avesse correttamente chiamato in causa gli ex soci poiché, sulla base del fenomeno di tipo successorio creato ex art. 110 cpc, seppure rimasti estranei dinanzi il giudice di prime cure, avevano comunque acquisito la legittimazione passiva.

Avverso la sentenza di appello, i soci propongono ricorso dinanzi la Corte di Cassazione rilevando come il giudice dell’Appello non avesse dichiarato la inammissibilità sotto plurimi ambiti, ed in dettaglio:

a) per carenza di agire a seguito dell’inesistenza del soggetto giuridico (società), dovuta alla cancellazione;

b) perché il credito della società verso il fisco non poteva trasmettersi in capo agli ex soci;

c) poiché a questi spettavano solo le sopravvenienze attive non comprese nel bilancio di liquidazione;

d) perché l’appello era stato proposto verso gli ex soci, senza dimostrare la loro responsabilità.

Tale controversia, tuttavia, assumeva caratteri tali da spingere la sezione tributaria a rimetterla dinanzi alle Sezioni Unite, vista la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale irrisolto.

Le Sezioni Unite Civili, dopo aver ripercorso l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in tema di estinzione societaria e trasferimento dei debiti, a partire dalla modifica legislativa del 2004 (riforma del diritto societario), giungono a formulare una articolata soluzione. Infatti, le stesse partono da un dato essenziale al fine della corretta risoluzione del contrasto giurisprudenziale, ovvero che nella fattispecie di responsabilità dei soci limitatamente responsabili per debiti tributari della società estinta, a seguito della avvenuta cancellazione, il presupposto della avvenuta riscossione delle somme in base al bilancio di liquidazione non costituisce solamente la misura massima dell’esposizione debitoria personale dei soci, ma pure la condizione essenziale per l’interesse ad agire, e non della legittimazione passiva dei soci, in quanto gli stessi sono successori per il solo fatto di essere tali, e non già per avere ricevuto quote di liquidazione. La loro, infatti, è una posizione di successore a titolo universale, non particolare, ed in detti termini subentrano anche se il patrimonio è costituito da soli debiti. Precisa al riguardo la Corte di legittimità come, qualora questo presupposto venga contestato, risulterà fondamentale che l’Amministrazione finanziaria proceda a provarne la sua esistenza.

Altresì, la Corte giunge a superare, attraverso una interpretazione estensiva dell’art. 2495 cc ripresa da un precedente orientamento, un limite molto importante, rilevando la sussistenza dell’interesse ad agire in capo alla P.A. anche quando non sussistono somme riscosse dal socio sulla base del bilancio di liquidazione, vista la possibilità in presenza di ulteriori evenienze, come beni e diritti trasferiti in capo ai soci, seppure non ricompresi nel bilancio. Perciò, la mancata riscossione da parte dei soci non risulta sufficiente al fine di escludere l’interesse ad agire dell’Amministrazione finanziaria.   

Infine, la Cassazione aggiunge un ulteriore tassello di ordine processuale statuendo, l’impossibilità di ingresso in un giudizio già pendente nei confronti della società della questione circa l’avvenuta percezione di attività sociali o quote di liquidazione da parte dei soci, tema questo ritenuto estraneo e necessitante di un accertamento autonomo, avverso i singoli ex soci, anche qualora il giudizio originario sia proseguito da o nei confronti dei soci quali successori, vista la natura differente rispetto l’azione originaria.

In conclusione, la sentenza appena esaminata ha consolidamento l’orientamento circa la possibilità dell’Amministrazione finanziaria creditrice di far valere le sue pretese tributarie nei confronti degli ex soci di imprese estinte a seguito della intervenuta cancellazione dal registro delle imprese. 

L’intervento a Sezioni Unite si è concluso con la enunciazione di un triplice principio di diritto:

a) nella fattispecie di responsabilità dei soci limitatamente responsabili per il debito tributario della società estintasi per cancellazione dal registro delle imprese, il presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, di cui al 3^ (già 2^) co. dell’art. 2495 cod.civ., integra, oltre alla misura massima dell’esposizione debitoria personale dei soci, una condizione dell’azione attinente all’interesse ad agire e non alla legittimazione ad causam dei soci stessi;

b) questo presupposto, se contestato, deve conseguentemente essere provato dal Fisco che faccia valere, con la notificazione ai soci ex artt. 36 co. 5^ d.P.R. n. 602/73 e 60 d.P.R. 600/73 di apposito avviso di accertamento, la responsabilità in questione, fermo restando che l’interesse ad agire dell’Amministrazione finanziaria non è escluso per il solo fatto della mancata riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, potendo tale interesse radicarsi in altre evenienze, quali la sussistenza di beni e diritti che, per quanto non ricompresi in questo bilancio, si siano trasferiti ai soci, ovvero l’escussione di garanzie;

c) la verifica del presupposto dell’avvenuta riscossione di somme in base al bilancio finale di liquidazione, concernendo un elemento che deve essere dedotto nella fase di accertamento da indirizzarsi direttamente nei confronti dei soci ex art. 36 co. 5^ d.P.R. n. 602/73, non può avere ingresso nel giudizio di impugnazione introdotto dalla società avverso l’avviso di accertamento ad essa originariamente notificato, quand’anche questo giudizio venga poi proseguito, a causa dell’estinzione della società per cancellazione dal registro delle imprese, da o nei confronti dei soci quali successori della società stessa (Cassazione Civile, Sezioni Unite Civili, sentenza 12 Febbraio 2025, N° 3625/2025).

Studio legale Avvocato Francesco Noto – Cosenza Napoli

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