Come si determina l’importo della TARI?
Sussiste un obbligo di motivare le tariffe TARI e le differenze di aliquote tra i diversi immobili?
Tale interrogativo trova risposta in una recente sentenza del Consiglio di Stato, che ha ribadito una lettura del tutto aderente alle amministrazioni comunali, non obbligate ad assolvere un particolare onere giustificativo nella fissazione delle tariffe, e dunque nella diverso assoggettamento a tassazione di immobili di eterogena natura.
Ciò in quanto, nell’ambito di una delibera volta a determinare le aliquote Tari (tassa sui rifiuti), non è ravvisabile uno stringente obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa, poiché la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili.
Questo è quanto statuito dal Consiglio di Stato nella recente sentenza, la N° 6021, del 8 luglio 2024, chiamato ad assumere una decisione in merito ad un ricorso, presentato da alcuni operatori economici, avverso la statuizione del TAR Puglia che, a sua volta, aveva respinto il ricorso promosso dai primi, volto ad invalidare la delibera del Comune di Taranto di approvazione delle aliquote TARI, ed altra tesa ad introdurre talune modifiche al locale regolamento TARI, sul presupposto di un eccessivo discrimine per le categorie di riferimento.
Dinanzi il Consiglio di Stato, gli appellanti tornavano a far valere le doglianze già rigettate dal Giudice di prime cure. Nello specifico, lamentavano che il Comune avrebbe fissato le aliquote in modo del tutto illogico ed arbitrario, senza motivarne le ragioni e senza dar conto dei criteri adottati e dell’istruttoria compiuta, andando a cagionare una disparità di trattamento tra le varie categorie di soggetti passivi e ad essere penalizzate sarebbero proprio le categorie imprenditoriali nelle quali rientrerebbero loro stesse.
Il Consiglio di Stato non ritiene fondato l’appello, ed afferma invece essere corretto quanto statuito dal primo giudice. Nello specifico, oltre il rilievo costituito dall’art. 197, comma 5, del d.l. n. 18/2020, che ha consentito ai Comuni, nel particolare scenario pandemico, di confermare per il 2020 le aliquote TARI già approvate nel 2019 -come appunto operato dal Comune di Taranto, alla stregua di una apposita facoltà concessa dal legislatore-, il Supremo Consesso amministrativo ha voluto ribadire come, nel quadro normativo di riferimento, non sussista un puntuale obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa, dato che la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, seppure determinabile ex post, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili (ciò era stato già ribadito dallo stesso Consiglio di stato nella sentenza n. 2910/2023, che richiamava i principi affermati dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 16165/2018).
Infine, con riferimento alla critica mossa circa i criteri adottati dal Comune, i giudici dell’appello ribadiscono che il Comune di Taranto, con la delibera di approvazione delle tariffe, è ricorso al metodo c.d. normalizzato (d.P.R. n. 158/1999), mediante il quale la tariffa è stata commisurata tenuto conto della superficie di riferimento per ogni utenza e la correlata produzione media, tale da ritenere comunque adeguata sul piano logico e monetario la ponderazione operata per le diverse tipologie di immobili assoggettati a tassazione (Consiglio di Stato, sentenza 8 Luglio 2024, N. 6021).
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