Il convivente more uxorio da oggi è considerato un familiare anche relativamente la disciplina dell’impresa familiare.
A tale conclusione è giunta la Corte Costituzionale, nella sentenza N° 148 del 4 luglio 2024, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 230-bis cc, terzo comma, nella parte in cui non prevede come familiare anche il “convivente di fatto” e come impresa familiare quella in cui collabora anche il “convivente di fatto”, nonché, in via consequenziale, l’art. 230-ter cc.
La Consulta, infatti, è stata chiamata a risolvere una questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di Cassazione, sezioni unite civili, a sua volta chiamata a decidere in merito ad un ricorso presentato dalla convivente more uxorio di un uomo deceduto in costanza di rapporto avverso la sentenza d’appello che, confermando la sentenza di primo grado, rigettava la richiesta della stessa a vedersi riconosciuta la liquidazione della propria quota di partecipazione all’interno di un’impresa familiare, per tutto il periodo in lui la stessa aveva lavorato e cooperato, affermando come il convivente non potesse essere qualificato come familiare ex art. 230-bis cc, comma 3. Nel ricorso dinanzi la Corte di Cassazione, la convivente sosteneva la violazione e falsa applicazione dell’art. 230-bis cc. per non avere il giudice equiparato la posizione sul piano familiare, alla stregua delle mutate sensibilità sociali in materia di rapporti di fatto, oggetto di plurime aperture ermeneutiche, anche da parte del Giudice delle Leggi.
Rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, emergeva nella massima composizione la necessità di un intervento nomofilattico, volto a chiarire se fosse possibile un’interpretazione evolutiva, ma solo all’esito di una vaglio circa la legittimità costituzionale della norma. E’ stata così sollevata autorevole questione di legittimità in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 35 e 36 cost., art. 9 CDFUE e all’art. 117 cost, in relazione agli artt. 8 e 12 CEDU, degli articoli art. 230-bis cc, commi 1 e 3, e 230 ter cc, nella parte in cui non includono il convivente more uxorio.
La Consulta, con un’articolata sentenza, ha ritenuto fondata e ha accolto la questione di legittimità sollevata, in particolare, perché non può oggi non tenersi conto dei mutamenti che hanno riguardato la società odierna, dove la famiglia non è più solo quella fondata sul matrimonio, ma sussistono diverse tipologie, come anche rilevato nella giurisprudenza nazionale, comunitaria e internazionale, le quali meritano di godere di una piena dignità. Tiene, però, a ribadire come permangano le divergenze rispetto alla famiglia tradizionale, ma queste divergenze non possono avere impatto negativo quando ad essere tutelati siano i diritti fondamentali dell’individuo. La Corte Costituzionale a tal fine ribadisce come vi siano “ipotesi particolari”, nel cui ambito “si possono riscontrare tra convivenza more uxorio e rapporto coniugale caratteristiche tanto comuni da rendere necessaria una identità di disciplina”.
Tra queste ipotesi, rientra anche la tutela nell’ambito dell’impresa familiare, dove anche la prestazione fornita dal convivente di fatto deve essere tutelata, vista la centralità della tutela del lavoro, quale mezzo fondamentale per la realizzazione della persona sia come singola che come membro delle formazioni sociali alle quali questa decide di far parte o di dar vita, proprio come la famiglia.
Perciò, la Consulta procede dichiarando la illegittimità costituzionale dell’art. 230-bis cc., comma 3, nella parte in cui non qualifica come familiare – oltre al coniuge, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo – anche il convivente di fatto e come impresa familiare quella in cui quest’ultimo collabora e, in via consequenziale, dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 230-ter cc., introdotto dalla L. 76/2016, che riconosceva una tutela al convivente dimidiata dal mancato riconoscimento del lavoro nella famiglia, del diritto al mantenimento, del diritto di prelazione nonché dei diritti partecipativi, e quindi significativamente più ridotta rispetto a quella che consegue all’accoglimento della questione sollevata in riferimento all’art. 230-bis cc. (Corte Costituzionale, sentenza 148 del 25 Luglio 2024)
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