Costituisce pratica commerciale scorretta l’attività di promozione e poi di diffusione di una rivista contenente riferimenti idonei a generare nei consumatori la convinzione di acquistare un prodotto editoriale costituente diretta emanazione dell’Arma dei Carabinieri o che sia dalla stessa approvato.
Il Consiglio di Stato conferma la decisione assunta dal TAR Lazio, e così rigetta l’opposizione promossa da una casa editoriale avverso la sanzione irrogata dalla Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM). Quest’ultima, in relazione ad una attività editoriale periodica denominata “La Rivista dell’Arma”, dopo avere ritenuto la pratica commerciale contraria agli articoli 20 e 21 del Codice del Consumo, ha comminato alla società una sanzione amministrativa pecuniaria pari ad Euro 5.000,00, ed ha al contempo inibito la diffusione della rivista.
La difesa della società editoriale si basava sulla liceità della pratica commerciale, avallata a suo dire dalla statuizione assunta dal Tribunale Civile di Torino, che ha respinto il ricorso d’urgenza promosso ex art. 700 cpc dal Ministero della Difesa, volto all’oscuramento dei siti internet usati per promozionale la rivista, ed altresì la circostanza, pure ritenuta solutoria, di avvenuta registrazione del marchio da oltre 18 anni.
Di contrario avviso entrambi gli Organi della Giustizia amministrativa, i quali hanno concluso per la sussistenza di una pratica commerciale scorretta.
Come notorio, deve intendersi pratica scorretta qualsiasi azione, omissione, condotta, dichiarazione o comunicazione commerciale, compresa la pubblicità e l’attività di marketing -qualunque sia la modalità di diffusione-, che il professionista adotta in relazione alla fase di promozione oppure di vendita di beni o servizi.
Il Codice del Consumo, approvato con Decreto Legislativo N° 206 del 2005, distingue le pratiche commerciali ingannevoli e aggressive, e quanto alle prime, disciplinate dagli articoli 21-23, sono da intendere quelle idonee ad indurre in errore il consumatore medio, adulterandone la scelta in qualsiasi componente del processo decisionale (caratteristiche, prezzo, disponibilità sul mercato, etc).
Tali presupposti obiettivi sono stati rinvenuti nel caso deciso dal Supremo Consesso Amministrativo, il quale ha recepito gli esiti istruttori dell’AGCM, secondo cui la rivista era destinata a un pubblico trasversale, e dunque non solo al personale militare, ma altresì a normali utenti. Proprio in relazione a tale nutrita categoria, la significativa somiglianza della dicitura e dei simboli utilizzati, con quelli dell’Arma, era del tutto idonea a generare un errore, ancor più nel silenzio della casa editoriale, la quale ha sottaciuto i doverosi distinguo con l’Arma dei Carabinieri.
Il soggetto sanzionato, di contro, ha acuito la confusione del consumatore, utilizzando nella fase di promozione del prodotto editoriali frasi quali “unico mezzo informativo e libero a disposizione per il proprio lavoro e costante aggiornamento professionale, di tutti i 110 mila uomini operativi dell’Arma dei Carabinieri“, oppure “la rivista dell’Arma“. Diciture nel loro coacervo destinate ad operare una fallace assonanza con i canali istituzionali del Corpo di Armata, tali da generare il convincimento nel consumatore che si tratti della rivista ufficiale dell’Arma dei Carabinieri.
Nessun rilievo ha assunto la circostanza che il logo della rivista sia stato da lungo tempo registrato (mediante istruttoria disposta senza l’intervento del Ministero della Difesa), trattandosi di circostanza inidonea a superare l’esclusivo diritto di utilizzo dei simboli da parte dell’Arma dei Carabinieri, così come previsto dall’art. 300 Decreto Legislativo 15/03/2010, n. 66 -Codice dell’Ordinamento militare-. La norma, in dettaglio, stabilisce che ”1. Le Forze armate, compresa l’Arma dei carabinieri, hanno il diritto all’uso esclusivo delle proprie denominazioni, dei propri stemmi, degli emblemi e di ogni altro segno distintivo. Il Ministero della difesa, anche avvalendosi della Difesa Servizi s.p.a. di cui all’articolo 535, può consentire l’uso anche temporaneo delle denominazioni, degli stemmi, degli emblemi e dei segni distintivi, in via convenzionale ai sensi dell’articolo 26 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nel rispetto delle finalità istituzionali e dell’immagine delle Forze armate. Si applicano le disposizioni contenute negli articoli 124, 125 e 126 del codice della proprietà industriale di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, e successive modificazioni. 2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque fabbrica, vende, espone, adopera industrialmente ovvero utilizza al fine di trarne profitto le denominazioni, gli stemmi, gli emblemi e i segni distintivi di cui al comma 1 in violazione delle disposizioni di cui al medesimo comma è punito con la multa da euro 1.000,00 a euro 5.000,00” (Consiglio di Stato, Sezione Sesta, sentenza 7 Febbraio 2024, N° 1274).
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