L’Alto Consesso amministrativo torna a fare il punto sulla procedura di finanza di progetto. Se l’utilizzo di risorse per il privato è solo parziale, permane il rischio di impresa, in ipotesi di revoca, e conseguentemente il primo va risarcito. Consiglio di Stato Sez. Quinta – Sent. del 10.12.2011, n. 39
Consiglio di Stato Sez. Quinta – Sent. del 10.12.2011, n. 39
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3112 del 2011, proposto da:
Comune di Malo, rappresentato e difeso dagli avv. Dario Meneguzzo, Orlando Sivieri, con domicilio eletto presso Orlando Sivieri in Roma, via Cosseria n. 5;
contro
G. P. S.p.A.,
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO – VENEZIA n. 00210/2011, resa tra le parti, concernente LAVORI PUBBLICI: RISTRUTTURAZIONE VILLA CLEMENTI – PROJECT FINANCING
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di G. P. S.p.A.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2011 il Cons. Roberto Chieppa e uditi per le parti gli avvocati Sivieri e R., per delega dell’Avv. V.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con sentenza n. 210/2011 il Tar per il Veneto ha accolto il ricorso proposto dall’Impresa G. P. s.p.a. avverso la deliberazione del Consiglio comunale di Malo 29.7.2008 n. 32 e quella della giunta 16.9.2008 n. 96, nonché avverso la determinazione dirigenziale 30.9.2008 n. 445, aventi ad oggetto l’annullamento in autotutela della procedura di finanza di progetto avviata ai sensi dell’art. 37-bis della legge n. 109/94 per la ristrutturazione di Villa Clementi, di proprietà dell’ente, verso il corrispettivo della gestione trentennale dell’immobile stesso che sarebbe stato dato in locazione al Comune previo versamento di un canone.
Con la stessa sentenza il giudice di primo grado ha condannato il comune al pagamento in favore dell’impresa G. P., a titolo di indennizzo ex art. 158 del D. Lgs. n. 163/06, della somma di € 200.869,48, di cui € 25.369,48 per i costi sostenuti in conseguenza della risoluzione del rapporto e € 175.500,00 per il mancato guadagno.
Il comune di Malo ha proposto ricorso in appello avverso tale sentenza per i motivi che saranno di seguito esaminati.
L’impresa G.P. s.p.a. si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso e proponendo ricorso in appello incidentale per ottenere la condanna del comune al pagamento di una maggiore somma a titolo di risarcimento del danno.
Con ordinanza n. 2409/11 questa Sezione ha sospeso l’esecutività dell’impugnata sentenza, “tenuto anche conto della situazione debitoria della ricorrente di primo grado” e ha contestualmente fissato l’odierna udienza per la discussione del merito del ricorso.
All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
2. L’oggetto del presente giudizio è costituito dalla contestazione dell’esercizio da parte del comune di Malo dei poteri di autotutela in ordine ad una procedura di finanza di progetto relativa alla ristrutturazione di Villa Clementi, di proprietà dell’ente.
La procedura era stata avviata, ai sensi dell’art. 37-bis della legge n. 109/94, su proposta dell’impresa appellata e prevedeva la ristrutturazione della villa a fronte della concessione della gestione trentennale dell’immobile stesso, che sarebbe stato dato in locazione al Comune previo versamento di un canone.
Approvata la proposta, la gara indetta per l’individuazione della migliore offerta ai sensi dell’art. 37-quater della legge n. 109/94 si concludeva con l’aggiudicazione alla stessa impresa G. P.
In data 11.9.2003 veniva stipulato il relativo contratto, poi modificato a seguito di alcune osservazioni della Soprintendenza, con cui l’impresa si obbligava a realizzare la ristrutturazione del corpo A della Villa e il recupero del corpo B (per una spesa complessiva prevista di € 1.555.00,00), nonché a realizzare le opere di urbanizzazione su un’area con una potenzialità edificatoria di mq 15.000 attigua alla Villa stessa (per un importo stimato di € 833.000,00); il Comune, da parte sua, avrebbe ceduto un’area attigua all’impresa esecutrice ed avrebbe inoltre corrisposto un canone annuo di € 65.000,00 per la locazione trentennale della Villa, pari alla durata della concessione della sua gestione all’impresa stessa.
Con nota 19.7.2005 l’impresa trasmetteva al Comune gli elaborati della progettazione architettonica esecutiva dei lavori.
Nel frattempo, il Comune avviava una procedura diretta ad ottenere un finanziamento regionale per la realizzazione di un intervento che, pur riguardando la medesima Villa Clementi, aveva tuttavia un diverso oggetto, e cioè la biblioteca, prima sempre esclusa dai lavori approvati ed affidati alla ricorrente (intervento, questo, che veniva appaltato ad un’impresa diversa).
Con nota 2.11.2007, il Comune comunicava l’avvio del procedimento preordinato all’annullamento in autotutela della procedura di finanza di progetto sulla base di asseriti vizi di legittimità.
Con deliberazione 29.7.2008 n. 32 il Consiglio comunale di Malo annullava l’approvazione della procedura di project financing e con successiva deliberazione 16.9.2008 n. 96 la Giunta comunale confermava il suddetto annullamento, a cui faceva seguito la conforme determinazione dirigenziale 30.9.2008 n. 445.
Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso proposto dall’impresa G. P. avverso tali ultimi atti, rilevando l’insussistenza di vizi di illegittimità dell’atto annullato e ritenendo che l’amministrazione avesse esercitato il potere di revoca a seguito di una nuova valutazione dell’interesse pubblico, riconoscendo all’impresa privata la complessiva somma di € 200.869,48 a titolo di indennizzo ex art. 158 del D. Lgs. n. 163/06.
L’appellante comune di Malo ha dedotto che sussistevano plurimi profili di illegittimità negli atti di avvio e approvazione della procedura e che il potere esercitato deve essere qualificato di annullamento di ufficio, senza muovere contestazioni alla quantificazione dell’indennizzo spettante all’impresa.
Sotto un primo profilo, il Comune sostiene che il rischio di impresa, che mancherebbe nel caso di specie, costituisce elemento essenziale di una procedura di project financing con conseguente illegittimità della operazione che prevedeva, invece, a carico del comune le risorse idonee a coprire l’intero importo dei lavori (il corrispettivo del canone di locazione per trenta anni corrisponde quasi all’importo dei lavori di ristrutturazione e delle opere di urbanizzazione, anche prescindendo dai 15.000 mc concessi alla impresa).
Il motivo è privo di fondamento.
Il project financing comporta la necessaria partecipazione finanziaria del soggetto promotore, cui può aggiungersi l’eventuale contributo pubblico; si tratta, tuttavia, di una procedura caratterizzata da un elevato tasso di elasticità, che consente di adattare il progetto alle specifiche esigenze delle parti.
Nel caso di specie, erano stati previsti oneri a carico dell’amministrazione, che si era assunta l’impegno di pagare per trenta anni i canoni di locazione a fronte delle opere di ristrutturazione e di realizzazione dell’urbanizzazione primaria affidate all’impresa; tale struttura dell’operazione non è di per sé incompatibile con l’istituto, che – si ribadisce – consente che l’utilizzo delle risorse dei soggetti proponenti sia solo parziale.
Non si può neanche sostenere che il rischio dell’impresa fosse in concreto azzerato, in quanto i calcoli del comune., oltre a includere anche l’Iva tra i ricavi dell’impresa, non tengono conto del fatto che l’impegno finanziario dell’impresa era immediato (realizzazione delle opere), mentre gli oneri posti a carico dell’amministrazione erano dilazionati in trenta anni sotto forma di pagamento del canone; tale circostanza impedisce di equiparare il valore dell’importo a carico del comune con quello posto a carico dell’impresa, trattandosi di dati comparabili solo indicizzando gli importi alla data degli esborsi.
Si può sostenere che il rischio a carico dell’impresa era contenuto, ma non certo che era annullato e il fatto che il rischio fosse ridotto non rende illegittima la procedura, che l’amministrazione ha autonomamente valutato come conveniente al momento della sua approvazione.
Né si può sostenere che si era in presenza di una concessione di lavori pubblici, in quanto l’operazione posta in essere era più complessa rispetto alla mera esecuzione dei lavori a fronte della gestione dell’opera.
In sostanza, il rischio ridotto per l’impresa e la sussistenza di oneri a carico del soggetto pubblico sono elementi compatibili con l’istituto del project financing, che non rendono illegittimo l’utilizzo di tale procedura, ma che possono al limite essere rivalutati sotto il profilo dell’opportunità e della convenienza, come in concreto avvenuto alla luce di quanto illustrato in seguito.
3. Sono infondate anche le ulteriori due censure con cui il Comune sostiene che sussistevano ulteriori profili di illegittimità della procedura di project financing, consistenti nella inidoneità dell’asseverazione bancaria del progetto e nella nullità degli atti per la mancata autorizzazione alla alienazione del bene da parte della Soprintendenza.
Sotto il primo profilo, si osserva che il piano economico finanziario del progetto deve essere asseverato da una banca (art. 153, comma 9, D. Lgs. n. 163/09), non essendo richiesto che tale asseverazione abbia particolari formalità.
Nel caso di specie, non può sostenersi che l’asseverazione mancasse, in quanto, con la lettera del 28.6.2002, la Unicredit Banca-Cassamarca ha dichiarato di aver esaminato l’allegato Piano economico finanziario e di rilasciare l’asseverazione prevista dall’art. 37-bis della legge n. 109/1994, all’epoca vigente.
Tale documento integra la richiesta asseverazione, senza che possa assumere rilievo la precisazione della Banca di non impegnarsi al finanziamento dell’iniziativa e di non esprimersi sul merito dei costi di investimento, gestione e tariffazione.
Del resto, la censura proposta dal comune si pone in contrasto con la tesi della stessa amministrazione, esposta in precedenza, dell’assenza di rischi in capo all’impresa; è la stessa amministrazione, infatti, a sostenere che il progetto non solo era perfettamente sostenibile dall’impresa, ma che lo stesso non comportava addirittura alcun rischio per essa.
Non deve essere dimenticato che la presenza dell’asseverazione bancaria non esonera l’amministrazione dal procedere alla valutazione della coerenza e sostenibilità economica dell’offerta e all’esame del piano economico e finanziario sotto il profilo dei ricavi attesi e dei relativi flussi di cassa in rapporto ai costi di produzione e di gestione (Cons. Stato, V., n. 6727/2006); l’asseverazione bancaria, comunque presente nel caso di specie, non sostituisce tale valutazione amministrativa e, ove ritenuta non completa, poteva al più essere integrata a richiesta del Comune.
Con riguardo alla dedotta mancata autorizzazione alla alienazione del bene da parte della Soprintendenza, è sufficiente rilevare che, per gli immobili vincolati come beni culturali, l’autorizzazione della Soprintendenza è richiesta per la alienazione del bene, mentre nel caso di specie si tratta di concessione del diritto di superficie trentennale sulle opere realizzate a Villa Clementi, permanendo la proprietà e la detenzione dell’immobile in capo al Comune.
La preventiva autorizzazione non era, quindi, richiesta e tanto meno poteva integrare un motivo di nullità della procedura.
4. Con l’ultima censura il Comune deduce che il Tar ha erroneamente qualificato gli atti impugnati come revoca, trattandosi invece di annullamento d’ufficio.
La tesi è priva di fondamento.
In primo luogo, si rileva che il Tar ha accolto il ricorso di primo grado, ritenendo insussistenti i presupposti per l’annullamento d’ufficio e integrati, invece, quelli della revoca, lasciando “in vita” gli impugnati provvedimenti quali revoca della procedura di project financing.
Ciò è dipeso dal fatto che negli atti impugnati era effettivamente presente una commistione tra i presupposti per l’esercizio del potere di annullamento di ufficio e del potere di revoca.
La già rilevata insussistenza di vizi di legittimità degli atti annullati in autotutela e la permanenza degli elementi costitutivi di un provvedimento di revoca conduce a confermare la qualificazione degli atti, effettuata dal Tar.
Come già evidenziato, il comune ha inteso rivalutare la convenienza e l’opportunità dell’operazione, esercitando, quindi, il tipico potere di revoca.
Va anche ricordato che l’art. 21-quinques della legge n. 241/90 ha accolto una nozione ampia di revoca, prevedendo tre presupposti alternativi, che legittimano l’adozione di un provvedimento di revoca: a) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) per mutamento della situazione di fatto; c) per nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
La revoca di provvedimenti amministrativi è, quindi, possibile non solo in base a sopravvenienze, ma anche per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi).
Nel caso di specie, la sostanziale motivazione del provvedimento è costituita appunto da una nuova valutazione dell’interesse pubblico, solo in parte legata a sopravvenienze costituite dall’intervento di urgenza eseguito sull’immobile sede della biblioteca (immobile C) con lavori ritenuti non compatibili con quelli oggetto del project financing.
Il Comune ha anche fatto riferimento alla necessità di impegnare in altro modo le somme destinate al pagamento del canone annuo da corrispondere all’impresa, rivalutando quindi l’opportunità dell’operazione.
E’ anche un profilo di opportunità la diversa valutazione sugli oneri assunti dal Comune rispetto a quelli gravanti sull’impresa e la possibilità di raggiungere gli obiettivi in altro modo (appalto di lavori finanziato), fermo restando quanto detto in precedenza sulla compatibilità di tali impegni con l’istituto del project financing.
Tenuto conto che nell’esercizio del c.d. jus poenitendi l’amministrazione gode di ampia discrezionalità, deve ritenersi che la motivazione posta a fondamento degli atti impugnati integri, come accertato dal Tar, gli estremi di un provvedimento di revoca.
Va aggiunto che la mancata liquidazione dell’indennizzo unitamente alla disposta revoca non costituisce un vizio dell’atto di autotutela, ma consente al privato di agire per ottenere l’indennizzo, come in concreto avvenuto in questo caso.
5. Con riferimento agli aspetti patrimoniali, si rileva che il comune non ha contestato la condanna al pagamento della somma a titolo di indennizzo, mentre l’impresa ha proposto ricorso in appello incidentale, chiedendo la condanna al risarcimento del danno in luogo dell’indennizzo.
Tale domanda va respinta.
In primo luogo, non può essere condivisa la tesi dell’appellante incidentale, secondo cui gli atti impugnati sarebbero totalmente illegittimi, non integrando neanche la revoca, che invece è stata in concreto esercitata, come appena illustrato.
In presenza di un provvedimento qualificato come di revoca viene meno il principale presupposto su cui è stata fondata la domanda risarcitoria, costituito appunto dall’illegittimità provvedimentale degli atti adottati dal Comune per liberarsi dal vincolo assunto con la procedura in questione.
Va precisato che anche in caso di revoca legittima si può ipotizzare che al privato derivino danni risarcibili, e non meramente indennizzabili, ma ciò discende dal fatto che tali danni conseguono non già direttamente dall’atto di revoca, ma da altre illegittimità (procedimentali o di altro tipo) commesse dall’amministrazione, ma non riscontrate né dedotte nel caso di specie, in cui alcun addebito è stato mosso all’amministrazione sotto il profilo della correttezza della condotta.
Ciò comporta che l’amministrazione è tenuta a corrispondere il solo indennizzo, e non l’integrale risarcimento del danno chiesto dall’impresa.
L’indennizzo è stato liquidato dal Tar sulla base di criteri, che non sono stato oggetto di contestazione in appello e, di conseguenza, non si deve procedere alla loro verifica.
6. In conclusione, devono essere respinti sia il ricorso in appello principale sia il ricorso in appello incidentale.
Tenuto conto della reciproca soccombenza, le spese di giudizio vanno compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), respinge il ricorso in appello principale indicato in epigrafe e il ricorso in appello incidentale proposto dalla Guerrino Pivato s.p.a.
Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Depositata in Segreteria il 12.01.2012
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Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Cosenza