I Giudici di Legittimità ritengono che la responsabilità solidale tra conducente e utilizzatore finanziario, sancita dall’art. 91 D.P.R. 285/1992 (Codice della Strada), trovi applicazione per i soli sinistri successivi alla entrata in vigore della novella del 1992. Per i fatti antecedenti, stante il carattere innovatore della disposizione citata, continua ad applicarsi il dettato codicistico (art. 2054 c.c., comma III°), con conseguente responsabilità in solido della società di leasing. Corte di Cassazione Sez. Terza Civ. – Sent. del 24.01.2012, n. 947
Corte di Cassazione Sez. Terza Civ. – Sent. del 24.01.2012, n. 947
Svolgimento del processo
In relazione ad un incidente stradale del (…), nel quale V.A., (terzo trasportato a bordo di vettura condotta da D.L.M., di proprietà della società T. ed utilizzata da DLC, della quale era legale rappresentante il padre del conducente, D.L.A.), riportava gravi lesioni, guarite con postumi permanenti di natura invalidante (lesione irreversibile al midollo spinale con conseguente tetraplegia) il V. conveniva in giudizio D.L.M., D.L.A. e la società utilizzatrice della vettura, DLC, chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’incidente. Venivano chiamate in giudizio la T. , proprietaria della vettura e la compagnia assicuratrice della società utilizzatrice. Con sentenza del 4/9 dicembre 2003, il Tribunale di Milano dichiarava cessata la materia del contendere tra l’attore e gli originari convenuti ( D.L.A., D.L. M., e la DLC), e la carenza di legittimazione passiva di T., rispetto alla domanda attrice, essendo unica legittimata passiva la DLC. La decisione era impugnata dal V., nei confronti della sola T. l’appellante chiedeva la condanna della società al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, indicati in lire 5.354.167.457 (al netto dell’importo corrispondente alla quota interna del debito dei convenuti, D.L.M., D.L. A. e DLC, che aveva formato oggetto della transazione intervenuta tra gli stessi e lo stesso V.). Su istanza di T. la Corte di appello, con ordinanza 29 giugno 2004, autorizzava la società appellata/appellante incidentale alla chiamata in causa di DLC. La chiamata era eseguita da T. con atto notificato in data 29 settembre 2004. La DLC si costituiva con comparsa di costituzione e risposta del 5 gennaio 2005, eccependo in via preliminare la inammissibilità o improcedibilità dell’appello incidentale svolto da T. spa, contestando nel merito la fondatezza della domanda articolata dalla appellante incidentale. Con ordinanza 24 aprile 20076 la Corte ordinava la integrazione del contraddittorio nei confronti di D.L.M., D.L. A.
Nessuna delle parti provvedeva, tuttavia, alla integrazione del contraddittorio nei confronti di questi ultimi. Con sentenza 18 novembre 2008 depositata l’8 settembre 2009, la Corte di appello di Milano dichiarava la responsabilità di T. in liquidazione – quale proprietaria del veicolo coinvolto nell’incidente – in danno di V.A., condannando la società al pagamento di una quota corrispondente ad un quarto della somma complessiva di Euro 25.754,70 riconosciuta a titolo di risarcimento del danno biologico da inabilità permanente, di Euro 600.000,00 a titolo di risarcimento del danno biologico da invalidità permanente e di Euro 315.000,00 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale o morale, oltre al risarcimento per danni patrimoniali futuri per danno emergente, spese di modificazione dei mezzi sostitutivi di quelli in uso, danni patrimoniali futuri per lucro cessante. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione T. con sei motivi. Resiste il V. con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale sorretto da un unico motivo. DLC ha resistito con controricorso. Tutte le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
Deve disporsi la riunione dei ricorsi proposti contro la medesima decisione.
La ricorrente principale, con il primo motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 102, 324, 331 e 338 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, nullità della sentenza pronunciata senza la integrazione del contraddittorio, disposta dalla Corte di appello di Milano in data 24 febbraio 2007, nei confronti di alcuni chiamati in causa, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4. La società T., costituendosi nel giudizio di secondo grado, aveva chiesto che si provvedesse alla integrazione del contraddittorio mediante chiamata in causa di D.L.M. e D.L.A., rispettivamente conducente del veicolo sul quale viaggiava il V. e legale rappresentante della società utilizzatrice della vettura. La Corte di appello aveva accolto tale istanza con ordinanza del 24 febbraio 2007, ma nessuna delle parti aveva provveduto all’incombente nel termine fissato. Da ciò, ad avviso della ricorrente principale, conseguirebbe la sopravvenuta inammissibilità dell’appello, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., comma 2, con l’automatico passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. Il motivo è privo di fondamento.
Deve innanzi tutto rilevarsi che il provvedimento con il quale era stata disposta, ai sensi dell’art. 102 c.c., la integrazione del contraddittorio – essendo relativo alla istruzione della causa – aveva carattere ordinatorio, con la conseguenza che lo stesso non poteva pregiudicare la decisione della causa. Con motivazione che sfugge alle censure formulate, i giudici di appello hanno rilevato che non vi erano i presupposti di legge per poter applicare la sanzione prevista dall’art. 331 c.p.c., comma 2. Tra l’altro, T. si era limitata – in primo grado – a chiedere la condanna in manleva della sola DLC (e non anche quella di D. L.M. e A.). In conseguenza di ciò, sottolinea la Corte territoriale, T. non aveva alcun interesse a chiamare in causa questi ultimi, avendo chiesto nel giudizio di primo grado il rigetto delle domande del V. “o, in subordine, previa autorizzazione della relativa chiamata in causa, che la DLC srl e la sua assicurazione fossero condannate a rifondere il danno eventuale ed a manlevare la T. “. La (nuova) domanda di T. nei confronti di D. L.M. e A. era fondata su un fatto del tutto distinto (la condotta imprudente del conducente e l’incauto affidamento del veicolo da parte del Presidente di DLC) rispetto al rapporto – dedotto nel giudizio di primo grado che fondava la responsabilità di T. sulla proprietà del veicolo. In questa nuova domanda, era ravvisabile una fattispecie di obbligazione solidale passiva, la quale non fa sorgere un rapporto unico e inscindibile e non da luogo a litisconsorzio necessario. Si richiama la giurisprudenza di questa Corte, in base alla quale: “Nel caso in cui la vittima di un sinistro stradale convenga cumulativamente in giudizio l’assicuratore del responsabile, il proprietario ed il conducente del veicolo, quest’ultimo non è un litisconsorte necessario, e la domanda eventualmente proposta nei suoi confronti è scindibile dalle altre. Pertanto, se la sentenza di primo grado venga impugnata solo nei confronti dell’assicuratore e del proprietario, ed il giudice d’appello ordini la notificazione del gravame anche al conducente, tale ordine deve ritenersi impartito in base all’art. 332 c.p.c., e non in base all’art. 331 c.p.c., con la conseguenza che, in caso di inottemperanza a tale ordine, non può essere pronunziata l’estinzione dell’intero giudizio, ma, in applicazione del suddetto art. 332, comma 2, il giudizio sulla domanda diretta deve essere definito in base all’appello” (Cass. 3 luglio 2008 n. 18242). Non sussiste, pertanto, il vizio di violazione di legge denunciato. Il secondo motivo del ricorso principale riguarda la violazione e falsa applicazione dell’ art. 2054, terzo comma, c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché motivazione insufficiente ed illogica circa la ritenuta non applicabilità alla concedente in locazione finanziaria dell’esenzione da responsabilità stabilita dalla legge in favore dell’usufruttuario e del venditore con riserva di proprietà, nonché circa il mancato riconoscimento della circolazione del veicolo per cui è causa contro la volontà della ricorrente, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5. Osserva il Collegio: Il sinistro si è verificato in epoca anteriore alla riforma del codice della strada. Pertanto, secondo la disciplina normativa vigente all’epoca, obbligato in solido con il conducente, ai sensi dell’art. 2054 c.c. – e responsabile per la obbligazione risarcitorie – doveva considerarsi la proprietaria T. s.p.a. La tesi della ricorrente – contraria al tenore letterale dell’art. 2054 c.c. – è incentrata essenzialmente sul disposto dell’art. 91 del Nuovo Codice della strada (D.Lgs. n. 285 del 1992), norma che la giurisprudenza di questa Corte ritiene di carattere innovativo non retroattivo (Cass. 27 ottobre 1998, n. 10698), e dunque non utilizzabile nella fattispecie, essendo l’incidente avvenuto nel 1987 e cioè prima dell’entrata in vigore della norma, con conseguente sicura e piena applicabilità della norma codicistica (Cass. 19 ottobre 2006 n. 22399). Il terzo comma dell’art. 2054 c.c. statuisce che “il proprietario del veicolo, o in sua vece, l’usufruttuario o l’acquirente con patto di riservato dominio, è responsabile in solido con il conducente, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà”. La responsabilità dei soggetti indicati nel comma terzo è alternativa e non solidale, in quanto l’obbligazione risarcitoria grava soltanto su colui che godendo della disponibilità giuridica del veicolo, avrebbe potuto e dovuto esercitare il divieto di farlo circolare. Sennonchè l’art. 91 C.d.S., comma 2, introdotto con D.Lgs. n. 285 del 1992, ha statuito che “ai fini del risarcimento dei danni prodotti a persone o cose dalla circolazione dei veicoli, il locatario è responsabile in solido con il conducente ai sensi dell’art. 2054 c.c., comma 3″. La norma predetta è ispirata alla stessa ratio di cui all’art. 196 C.d.S., comma 1, che stabilisce che “per le violazioni punibili con la sanzione amministrativa pecuniaria il proprietario del veicolo o, in sua vece, l’usufruttuario, l’acquirente con patto di riservato dominio o l’utilizzatore a titolo di locazione finanziaria, è obbligato in solido con l’autore della violazione al pagamento della somma da questi dovuta, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà”. La responsabilità solidale alternativa del proprietario o, in vece di lui, di uno dei soggetti di seguito indicati costituisce il riflesso di situazioni giuridiche sostanziali, trova la sua ratio nella relazione qualificata tra il soggetto e la cosa; relazione che, in caso di usufrutto, di vendita con patto di riservato dominio e di locazione finanziaria si atteggia nel senso che solo l’usufruttuario, l’acquirente o l’utilizzatore hanno il possesso del veicolo e sono in grado di controllarne la circolazione. Ne consegue, quindi, che – secondo la nuova normativa non applicabile tuttavia alla specie – in caso di concessione in leasing, è ora corresponsabile con il conducente l’utilizzatore del veicolo. Il secondo motivo di ricorso deve pertanto essere rigettato. Con il terzo motivo del ricorso principale si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1304 c.c., e art. 2055 c.c., commi 2 e 3, (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3) motivazione insufficiente ed illogica circa la ritenuta sopravvivenza di una responsabilità risarcitoria della ricorrente dopo l’accordo transattivo intervenuto tra l’avv. V., DLC s.r.l., ed i signori D.L.M. e A. Nella transazione acquisita agli atti il V. aveva dichiarato di aver conciliato la lite con D.L.M. e A. e la società DLC, ed aveva espressamente sottolineato che avrebbe proseguito la causa contro la T. . Ad avviso della ricorrente principale, la transazione opererebbe anche a suo favore, nonostante la espressa riserva contenuta nell’atto di transazione. La Corte territoriale ha rilevato che la T. poteva profittare e giovarsi degli effetti parzialmente estintivi della transazione conclusa da V.A., pur non sussistendo la fattispecie interamente liberatoria prevista dalla disposizione dell’art. 1304 c.c. I giudici di appello hanno osservato che mancando la prova che la transazione avesse avuto ad oggetto l’intero debito, poiché le quote di responsabilità si presumevano eguali, la transazione con i coobbligati conclusa in primo grado poteva determinare solo la riduzione del credito azionato in misura corrispondente alle quote idealmente attribuibili ai corresponsabili che avevano definito con il V. la definizione della rispettiva responsabilità.
Non è applicabile nella specie la giurisprudenza di legittimità sullo scioglimento del vincolo solidale per effetto della transazione stipulata dal condebitore in quanto nella quietanza di pagamento della somma determinata in sede transattiva non è contenuto alcun riferimento alla “quota di responsabilità”. La Corte territoriale ha considerato che il creditore V. aveva espressamente dichiarato di abbandonare la pretesa solo nei confronti di D.L.M. e A. e della DLC s.r.l., liberandoli dall’obbligazione; con tale dichiarazione il creditore aveva rinunciato alla solidarietà ed, in base al disposto dell’art. 1311 c.c., comma 1, mantenendo inalterato il proprio diritto risarcitorio nei confronti degli altri condebitori per la quota di responsabilità addebitabile ai medesimi; ciò perchè la regola stabilita dall’art. 1304 c.c., secondo cui il condebitore solidale si può avvalere della transazione fatta dal creditore con altro condebitore solidale, vale se la transazione riguarda l’intero debito. La decisione impugnata è in linea con la giurisprudenza di questa Corte. Secondo tale insegnamento, dal quale non vi è ragione di discostarsi, l’art. 1304 c.c., comma 1, che disciplina gli effetti della transazione del debito solidale ad opera di uno solo dei condebitori si riferisce alla transazione (non novativa) avente ad oggetto l’intera obbligazione solidale, mentre quando è limitata alla sola quota interna del condebitore che la stipula, la transazione non interferisce sulla quota interna degli altri condebitori e, riducendo l’intero debito dell’importo corrispondente alla quota transatta, produce automaticamente lo scioglimento del vincolo solidale fra il condebitore stipulante e gli altri condebitori, i quali rimangono obbligati nei limiti della loro quota senza potersi avvalere del potere di cui all’art. 1304 c.c., (Cass. 17 gennaio 2008 n. 868, 27 marzo.1999, n. 2931; 19 dicembre 1991, n. 13701). Il criterio per distinguere il tipo di transazione che consente ai condebitori, estranei di profittarne da quello che non concede tale facoltà viene ravvisato dalla giurisprudenza nell’oggetto della transazione (l’intera obbligazione solidale ovvero la quota interna del condebitore stipulante). In dottrina si è osservato che il criterio distintivo è più propriamente costituito dal fatto che il creditore rinunci o non ad ogni maggiore pretesa nei confronti degli altri condebitori. La ricognizione degli intenti e delle finalità perseguiti dalle parti nell’addivenire ad un accordo transattivo che ponga termine ad una lite in corso, si risolve in una “quaestio voluntatis” riservata al Giudice di merito. Con il quarto motivo, la ricorrente principale deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, motivazione insufficiente ed illogica circa la possibilità di liquidare un risarcimento superiore a quello domandato dall’interessato (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5). Anche questo motivo è privo di fondamento. La Corte territoriale ha liquidato il danno non patrimoniale secondo criteri attuali con la indicazione di riportare il credito risarcitorio nella sua consistenza pecuniaria alle singole date di riferimento, mediante devalutazione degli importi riconosciuti, realizzata impiegando gli indici di riferimento del costo della vita ISTAT, procedendo quindi alla rivalutazione del credito. Quanto alle spese di assistenza medica, infermieristica e di trasporto, le stesse erano state richiesta sin dal giudizio di primo grado nelle conclusioni prese alla udienza del 18 giugno 2003 (ribadite in appello nella udienza del 30 gennaio 2007). Non sussiste pertanto, sotto tutti i profili, il vizio di ultrapetizione denunciato. Con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e art. 115 c.p.c. nel testo anteriore alla riforma introdotta dalla legge 69 del 2009 (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3) motivazione insufficiente ed illogica circa la pretesa mancanza di contestazione sulla entità dei danni patrimoniali arrecati dal sinistro controverso (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5). L’avv. V. non aveva allegato alcuna documentazione adeguata, né dedotto testimonianze ammissibili, per dimostrare le ingentissime spese che aveva dedotto di avere sostenuto per assistenza medica, farmaceutica e per il trasporto su strada con mezzo idoneo. La Corte territoriale aveva, ciò nonostante, considerato del tutto pacifica la quantificazione operata dal V., sollevando l’interessato dall’onere della prova impostogli dall’art. 2697 c.c., in difetto di specifiche contestazioni sollevate dalla società finanziaria, che solo nella comparsa conclusionale e nella memoria di replica e dunque tardivamente, aveva dedotto la incongruità dei calcoli esposti dal V.. Le censure formulate sono inammissibili. I giudici di appello hanno spiegato le ragioni per le quali sono giunti alla determinazione della somma dovuta a titolo di risarcimento.
La Corte territoriale ha osservato che nessuna delle parti aveva messo in discussione che il versamento del massimale assicurativo fosse idoneo ad estinguere, almeno parzialmente, parte dei crediti risarcitori maturati, ha sottolineato che nessuna di esse aveva contestato che per quasi dodici anni trascorsi dalla data dell’incidente, fino alla citazione di primo grado, il V. avesse effettivamente sostenuto in proprio gli ingenti costi determinati dalla necessità di una continua assistenza infermieristica generica e specializzata. Quanto alle spese successive (1999-2008) ed al danno futuro, la quantificazione degli stessi è stata ampiamente motivata dai giudici di appello.
Il sesto, ed ultimo, motivo del ricorso principale riguarda la violazione e falsa applicazione degli artt. 183 e 184 c.p.c., nel testo anteriore alla riforma introdotta dalla L. n. 80 del 2005, dell’art. 345 c.p.c., nonchè dei criteri di interpretazione degli atti giuridici di cui all’art. 1362 c.c. e ss., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, motivazione insufficiente ed illogica circa la pretesa decadenza della ricorrente dalla domanda proposta nei confronti della utilizzatrice della vettura controversa (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3). Erroneamente i giudici di appello avevano ritenuto tardiva la domanda di manleva svolta dalla T. contro la DLC s.r.l., utilizzatrice della vettura. La Corte territoriale aveva argomentato che per la prima volta in sede di comparsa conclusionale – e dunque ben dopo la chiusura della fase processuale volta alla identificazione del c.d. “thema decidendum” – T. aveva collegato la propria domanda di manleva alla specifica causa petendi, costituita dalle clausole contrattuali che sarebbero state previste nel contratto di leasing al fine di pattuire una obbligazione sostanziale di garanzia, dipendente dal fatto oggettivo della utilizzazione del veicolo.
Osserva ancora la ricorrente principale T. , che fin dal primo grado di giudizio la società aveva prodotto la copia del contratto di leasing del veicolo coinvolto nel sinistro, invocandone la integrale applicazione. In nessun atto del giudizio di primo grado era stata invocata una “causa petendi” diversa da quella in seguito esplicitata, che doveva considerarsi sottintesa fin dall’inizio, in quanto coerente con le produzioni e difese dalla società finanziaria. Anche questo ultimo motivo è inammissibile ancor prima che infondato. La Corte territoriale, con motivazione ineccepibile, ha osservato che nella comparsa di risposta depositata da T. in primo grado le uniche ragioni poste a fondamento della domanda di manleva consistevano in argomentazioni in materia di legittimazione passiva del locatario rispetto all’azione del danneggiato esperita ai sensi dell’art. 2054 c.c.
Solo successivamente, e precisamente in sede di comparsa conclusionale nel giudizio di primo grado, la stessa società – per la prima volta – aveva collegato la domanda di manleva alla specifica causa petendi costituita dalle clausole contrattuali che sarebbero state previste nel contratto di leasing (al fine di pattuire una obbligazione di sostanziale garanzia dipendente dal fatto oggettivo della utilizzazione del veicolo). Correttamente i giudici di appello hanno osservato che la domanda doveva configurarsi come una domanda nuova. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, nel vigore del regime delle preclusioni di cui al nuovo testo degli artt. 183 e 184 c.p.c., introdotto dalla L. n. 353 del 1990, la questione della novità della domanda risulta del tutto sottratta alla disponibilità delle parti – e pertanto pienamente ed esclusivamente ricondotta al rilievo officioso del giudice – essendo le preclusioni ispirate ad esigenza di ordine pubblico processuale, sicchè il “thema decidendum” non è più modificabile dopo la chiusura della prima udienza di trattazione o dopo la scadenza del termine concesso dal giudice ai sensi dell’art. 183, comma 5 del codice di rito. Non essendo stata proposta in primo grado entro i termini perentori stabiliti dagli articoli 183 e 184 c.p.c., la domanda doveva essere dichiarata inammissibile anche in appello, dato l’inderogabile divieto di proporre domande nuove in appello, stabilito dall’art. 345 c.p.c. Infondato è anche il ricorso incidentale proposto da V. A., con il quale, nell’unico motivo, si denuncia falsa applicazione dell’art. 1298 c.c., comma 2, art. 2054 c.c., comma 3, e art. 2055 c.c., comma 3.
Dalla affermata responsabilità di T. ex art. 2054 c.c., comma 3, discende, secondo il ricorrente incidentale, come logica conseguenza, la impossibilità di affermare una responsabilità concorrente di DLC. Infatti, la responsabilità della società che concede un bene in leasing e quella del suo utilizzatore sono tra loro alternative, con la conseguenza che la affermazione della responsabilità di T. era tale da escludere necessariamente quella dell’altro. In questa prospettiva, doveva concludersi che la quota di responsabilità di T. era pari non ad un quarto, bensì ad un terzo dell’intero debito. Le censure formulate con questo ultimo motivo non colgono nel segno. La Corte territoriale ha concluso che nel difetto di prova che la transazione avesse avuto ad oggetto l’intero debito – poiché le quote di responsabilità si presumono eguali – la transazione con i coobbligati conclusa in primo grado poteva determinare soltanto la riduzione del credito azionato in misura corrispondente alle quote idealmente attribuibili ai corresponsabili che avevano concordato con il V. la definizione della rispettiva responsabilità. Quando la transazione è limitata (come nel caso di specie) alla sola quota interna del condebitore che la stipula non interferisce sulla quota interna degli altri condebitori e, riducendo l’intero debito dell’importo corrispondente alla quota transatta, produce automaticamente lo scioglimento del vincolo solidale fra il condebitore stipulante e gli altri condebitori, i quali rimangono obbligati nei limiti della loro quota senza potersi avvalere del potere di cui all’art. 1304 c.c. Non sussistono, pertanto, le condizioni di legge per accogliere le richieste formulate dal V.. Conclusivamente entrambi i ricorsi devono essere rigettati. Sussistono giusti motivi, in relazione all’esito della controversia, per disporre la compensazione integrale delle spese di questo giudizio tra tutte le parti.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del giudizio di cassazione tra tutte le parti.
Depositata in Cancelleria il 24.01.2012
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Studio Legale Avvocato Francesco Noto – Cosenza