Per il Giudice di legittimità la regola codificata dall’art. 1346 cc impone che il contenuto del contratto, ivi compreso quello bancario, sia previamente determinato, non potendo residuare, in capo alla banca, una facoltà di mutuare due alternative ipotesi nella fissazione del saggio di interesse. Ove verificatasi siffatta evenienza, il contratto sarà viziato da nullità per indeterminatezza della stipula ex art. 1346 cc, senza alcuna possibilità di invocare l’impiego dei tassi sostitutivi ex art. 117 TUB, ipotesi ultima riservata alla sola inosservanza delle regole di trasparenza negoziale (Cassazione Civile, Sezione 6, sentenza 11876 del 18 giugno 2020)
CORTE DI CASSAZIONE
ORDINANZA sul ricorso 23870-2017 proposto da: UNICREDIT SPA, in persona del Procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEL FANTE 2, presso lo studio dell’avvocato P P, rappresentata e difesa dall’avvocato S Z; – ricorrente – contro M G, G A, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GAVORRANO 12, presso lo studio dell’avvocato M G, rappresentati e difesi dall’avvocato S R; – controricorrente – contro S A, C F SPA; – intimati – avverso la sentenza n. 1559/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 13/09/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 03/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA. FATTI DI CAUSA 1.- La controversia giunta ora all’esame di questa Corte prende tratto da una serie di rapporti di conto corrente intrattenuti da G M con la Cassa Centrale di Risparmio Vittorio Emanuele (poi incorporata nel Banco di Sicilia) e garantiti da fideiussioni prestate da G A, R M e S A. Chiusi i rapporti, la Banca ha preteso, a saldo del debito, il pagamento di una determinata somma. Di contro, correntista e fideiussori hanno reclamato un maggiore credito in ragione dell’assunta applicazione di interessi connessi a clausole nulle per indeterminatezza dell’oggetto e anatocismo, come pure per indebita postergazione delle valute e illegittima applicazione della commissione di massimo scoperto. 2.- In questa prospettiva, M, A e M hanno convenuto avanti al Tribunale di Palermo il Banco di Sicilia, la s.p.a. Capitalia e la s.p.a. Cross Factor per l’accertamento delle nullità delle ridette clausole e per la condanna al pagamento delle somme per l’effetto accertate. 3.- Con sentenza del 20 novembre 2012, il Tribunale di Palermo ha accolto la domanda attorea, condannando il Banco di Sicilia al pagamento di una data somma. Ric. 2017 n. 23870 sez. M1 – ud. 03-12-2019 -2- 4.- Nella veste di incorporante del Banco, la s.p.a. Unicredit ha proposto appello avanti alla Corte di Appello di Palermo che l’ha rigettata con sentenza depositata in data 13 settembre 2017. 5.- Avverso questo provvedimento ricorre la s.p.a. Unicredit, svolgendo sei motivi di impugnazione per cassazione. Resistono, con controricorso, i signori M e A. 6.- Entrambe le parti hanno anche depositato memorie. RAGIONI DELLA DECISIONE 7.- Il primo motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 58 e 90 TUB e degli artt. 1362 ss. cod. civ. Il motivo fa riferimento al capo della decisione che si occupa dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dall’attuale ricorrente. Ad avviso di quest’ultima, taluni conti correnti non erano transitati dalla Cassa Vittorio Emanuele al Banco di Sicilia, in quanto «chiusi prima della cessione», che sarebbe intercorsa tra questi soggetti. A giudizio della Corte territoriale, l’eccezione era da respingere «in quanto circostanza nuova e inammissibile»; e pure in quanto «la stessa non trova alcun riscontro». 8.- Il ricorrente giudica errate entrambe queste rationes decidendi: assumendo, da un lato, che l’«eccezione era stata tempestivamente sollevata dalla Banca in primo grado e nella prima difesa utile»; dall’altro, che in una «nota inviata dalla Sicilcassa in data 24.5.1996», la stessa era «venuta nella determinazione di revocare le linee di credito» concesse su un dato conto: col che – si deduce – il medesimo era da ritenere senz’altro chiuso. Ric. 2017 n. 23870 sez. M1 – ud. 03-12-2019 -3- 9.- Il motivo non può essere accolto. La prima censura, che è stata mossa, difetta del necessario requisito dell’autosufficienza, posto che si risolve nella mera autodichiarazione dell’esistenza dell’eccezione, senza neppure curarsi di riportare i termini in cui la stessa sarebbe stata realmente sollevata. L’altra censura sollecita, poi, un nuovo giudizio sui tempi e modi della ipotetica chiusura del conto in questione. Valutazione propriamente di fatto, non sindacabile, perciò, dal giudizio di questa Corte. 10.- Il secondo motivo lamenta violazione delle norme di cui agli artt. 2697 e 2935 cod. civ. Il motivo si richiama al passo motivazionale della sentenza, ove questa rileva che «l’appellante, pur dando atto del principio stabilito dalle Sezioni Unite [Cass., n. 24418/2010], vorrebbe sostenere che vi sarebbero stati da parte del M pagamenti per ripianare il passivo eccedenti i limiti del fido. Anche ove potesse prendersi in considerazione tale assunto inammissibilmente prospettato per la prima volta con l’atto di appello, ne difetta la prova». 11.- Rispetto a questi assunti, il ricorrente afferma che, nella comparsa di costituzione del primo grado, ha in realtà sollevato l’eccezione, riportando il seguente brano: «in via subordinata e senza recesso dalle superiori difese si eccepisce l’avvenuta prescrizione …». Aggiunge che «nel merito l’eccezione di prescrizione, reiterata in appello, era (ed è) fondata». Segue l’indicazione di una serie di «circostanze», di alcuni richiami di «documentazione contrattuale in atti», di «dati estrapolati della CTU», anche con trascrizione di saldi di periodo. Si precisa, ancora, che la «domanda di ripetizione è stata genericamente formulata dal Ric. 2017 n. 23870 sez. M1 – ud. 03-12-2019 -4- correntista con riferimento al complesso delle operazioni eseguite sui conto correnti». 12.- Il motivo non può essere accolto. Lo stesso difetta del necessario requisito dell’autosufficienza, non trascrivendo la ricorrente l’oggetto della sollevata eccezione di prescrizione (cfr. sopra, il primo capoverso del n. 11). Per altro verso, il motivo richiede apertamente a questa Corte un nuovo esame del materiale probatorio, così instando per una valutazione non consentita. 13.- Il terzo motivo assume omesso esame di un fatto decisivo per l’esito del giudizio. Lamenta dunque il ricorrente che il CTU ha commesso un «errore (grossolano) di calcolo», che pure è stato ignorato, «nonostante il fatto che la Banca abbia segnalato detto errore», dalla Corte di Appello. 14.- Il motivo non può essere accolto. Un ipotetico errore di calcolo non costituisce, infatti, un «fatto storico». Nel vigente sistema, solo l’omesso esame di un fatto storico può condurre – ove si tratti di fatto decisivo per le sorti della controversia – alla cassazione del provvedimento impugnato. Nel caso concreto, del resto, non difetta l’esame lamentato dal ricorrente. La Corte palermitana, infatti, ben ha preso in esame la segnalazione effettuata dalla Banca, in modo espresso respingendola (l’indebito è «costituito dalla differenza tra il saldo a debito indicato dalla Banca … e quello a credito ricostituito dal CTU, derivante dalla somma algebrica fra i due valori»). 15.- Il quarto motivo afferma la violazione degli artt. 117 TUB e degli artt. 1362 ss. cod. civ. con riferimento al passo in cui la Ric. 2017 n. 23870 sez. M1 – ud. 03-12-2019 -5- sentenza ha rilevato, confermando la valutazione del giudice del primo grado, che il tasso di interesse relativo a un conto corrente non era «determinato, né determinabile». In proposito, il ricorrente segnala, prima di tutto, che «nella fattispecie non si verte in tema di determinazione degli interessi con riferimento agli usi di piazza»; e precisa, inoltre, che il «tenore letterale delle lettere non lascia alcun margine di dubbio sulla previsione di un tasso di interesse minimo del 24% fino al 21.10.1986 e un tasso di interesse minimo del 18.50% per il periodo successivo». 16.- Il motivo non merita di essere accolto. Lo stesso (che trascura di trascrivere in termini precisi il tenore della clausola), infatti, non si confronta con le ratíones decidendí indicate dalla decisione. Questa, nel ritenere non determinato, né determinabile il tasso in questione, ha espressamente riscontrato che non risultava «indicata la maggiorazione nel caso di superamento del fido»; e pure che «inoltre, trattasi di “apparente” determinabilità»: la «banca poteva applicare qualunque tasso ricompreso tra la maggiorazione del TUS e il limite minimo del 24% o del 18,50%»; il tasso, perciò risultava «racchiuso in un range variabile di almeno venti punti percentuali». Una simile valutazione – appare ancora opportuno aggiungere – è senz’altro coerente con la regola della necessaria determinatezza dell’oggetto e del contenuto del contratto, secondo quanto è prescritto dalla norma-principio dell’art.1346 cod. civ. La clausola, che è oggetto di esame, stabilisce l’applicazione di un tasso in sé stesso variabile: non già, però, in relazione a fattori esterni, su cui le parti contrattuali non hanno (in quanto tali) l’oggettiva possibilità di incidere; bensì in relazione alla Ric. 2017 n. 23870 sez. M1 – ud. 03-12-2019 -6- mera discrezionalità di una di esse. Trattasi, dunque, di un tasso variabile secondo la volontà di una delle parti del contratto: la misura del range di scorrimento, così stabilito, mettendo correlativamente in oggettiva, trasparente, evidenza la dimensione reale della discrezionalità assegnata in tale maniera. 17.- Il quinto motivo di ricorso invoca violazione della norma dell’art. 117 TUB. La Corte palermitana ha errato – così si assume – a non applicare tale disposizione. «Nel caso di declaratoria di nullità del tasso convenzionale perché generico e non precisamente indicato, troverà applicazione l’art. 117 TUB»: in specie, la disposizione del comma 7, che prevede l’applicazione di un saggio di interessi parametrato sul rendimento dei buoni del tesoro annuali. 18.- Il motivo non merita di essere accolto. Come indica chiaramente la formula di apertura del comma 7 dell’art. 117 TUB («in caso di inosservanza del comma 4 e ipotesi di nullità indicate nel comma 6»), la disciplina «rimediale», prevista da tale norma, riguarda unicamente le ipotesi in cui la nullità sia stata dichiarata in ragione della violazione delle citate disposizioni. E’, d’altra parte, pure da rilevare che la regola rimediale dettata nel comma 7 dell’art. 117 si pone come disciplina correttiva e limitativa del principio della c.d. «nullità a vantaggio» (di protezione del cliente, cioè), che – ai sensi dell’art. 127 comma 2 – informa le peculiari ipotesi di nullità previste dal titolo del TUB, dedicato alla materia della «trasparenza» delle condizioni contrattuali (su queste peculiari nullità v. ora la sentenza di Cass., SS.UU., 4 novembre 2019, n. 28314). Ric. 2017 n. 23870 sez. M1 – ud. 03-12-2019 -7- La causa di nullità prevista dalla norma dell’art. 1346 cod. civ. – in punto di determinatezza dell’oggetto e del contenuto del contratto – è, invece, di ordine generale; la stessa dunque richiama, per la definizione dei suoi aspetti disciplinari ed effettuali rispetto alla relativa dichiarazione, le semplici regole di diritto comune. 19.- Il sesto motivo di ricorso assume violazione dell’art. 117 TUB e 1362 ss. cod. civ. Ad avviso del ricorrente, la Corte di Appello ha errato nel ritenere inammissibile, perché «sollevata solo in appello», la doglianza relativa all’illegittimità dell’eliminazione della commissione di massimo scoperto. Tale eccezione è stata sollevata – si segnala – nell’ambito delle note autorizzate contenenti le osservazioni alla CTU. 20.- Il motivo non merita accoglimento. Lo stesso ricorrente riconosce di non avere sollevato la eccezione in questione nell’ambito della comparsa di costituzione e risposta. Né contesta che la richiesta di disapplicazione di illegittima commissione di massimo scoperto faccia parte delle conclusioni esposte nell’atto di citazione presentato dagli attori in primo grado. 21. In conclusione il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. che liquida nella somma di C 7.200.00 (di cui C 100,00 per esborsi), oltre a spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge. Ric. 2017 n. 23870 sez. M1 – ud. 03-12-2019 -8- Dà atto, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115/2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto.
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STUDIO LEGALE AVVOCATO FRANCESCO NOTO – COSENZA NAPOLI