La Corte di Cassazione, dopo una serie di pronunciamenti de relato, interviene sul tema, ad oggi assai dibattuto, del rimborso ai soci dei finanziamenti (tali intendendo ogni sorta di apporto economico effettuato a titolo di mutuo, e non già di capitale di rischio, fattispecie ultima che, come più volte ricordato dal Giudice Nomofilattico, esclude ex se la possibilità di rimborso -da ultimo: Ord. N° 20978/2018-) operati dalla compagine sociale, ed in particolare se, la postergazione fissata dall’art. 2467 cc, abbia connotazione puntuale ovvero costituisca un corollario generale, propria di ogni ipotesi gestionale connotata da significativo disavanzo debitorio. Il Massimo Organo adotta tale ultima opzione ermeneutica, statuendo che, a prescindere dalla sussistenza di un concorso formale tra debitori (procedure esecutive o fallimentari), il socio, ancora in essere ovvero medio tempore uscito dalla compagine, non ha diritto al rimborso del finanziamento operato in favore dell’impresa, laddove la condizione debitoria registri un significativo squilibrio con l’assetto patrimoniale; se così, il rimborso del finanziamento potrà operarsi solo dopo la tacitazione dei debiti sociali (Cass. Civ., Sentenza N° 12994 del 15 Maggio 2019).
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE Iª CIVILE
SENTENZA
sul ricorso 25063/2016 proposto da:
- Srl , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Napoleone III n. 12, presso lo studio dell’avvocato R. G., rappresentata e difesa dagli avvocati A. A., M. B., giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
- s.r.l. -, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Rorna,
Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato C. R. M., giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3119/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 18/08/2016; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/01/2019 dal cons. NAZZICONE LOREDANA; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO LUCIO che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito, per la controricorrente, l’Avvocato V. C., con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 18 agosto 2016, la Corte d’appello di Napoli ha respinto l’impugnazione avverso la sentenza del 6 febbraio 2015 del Tribunale della stessa città, che aveva a sua volta disatteso la domanda proposta da G. s.r.l. contro la S. s.r.l., dalla prima partecipata nella misura del 25% del capitale sociale, volta alla restituzione della somma di € 190.482,25 versata alla società a titolo di finanziamento soci.La Corte territoriale ha ritenuto, per quanto ancora rileva, che: a) l’applicabilità dell’art. 2467 c.c. al finanziamento dei soci è oggetto di un’eccezione in senso lato rilevabile d’ufficio, onde non interessa che la S. s.r.l. sia rimasta contumace in primo grado, allorché il Tribunale rilevò la situazione della società impeditiva della restituzione; b) la norma comporta una condizione di temporanea inesigibilità del credito, come risulta dalla lettera e dalla ratio della stessa, in presenza dei presupposti di cui al secondo comma della disposizione ed allorché al momento della richiesta di rimborso esistano, come nella specie, crediti ordinari pur non scaduti; c) neppure sarebbe possibile l’adozione di una sentenza di condanna condizionata, in quanto l’evento condizionante è costituito dall’assenza di altri crediti non postergati, circostanza che dovrebbe essere accertata dall’organo gestorio, con conseguente riproposizione degli inconvenienti che la norma intende contrastare e dubbi di liceità, in quanto condizione meramente potestativa; inoltre, non è stata avanzata la necessaria domanda di parte in tal senso; di essa, infine, sarebbe dubbia l’ammissibilità per difetto dell’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., dato che la S. s.r.l. non ha contestato l’esistenza del debito in sé e la socia intende proprio conseguire il titolo giudiziale esecutivo; d) a fronte dell’accertamento, operato dal tribunale, circa la sussistenza di un eccessivo squilibrio dell’indebitamente rispetto al patrimonio netto della società al momento del finanziamento, la socia G. s.r.l. ha formulato un motivo che difetta di specificità, essendosi limitata a negare la situazione di sottocapitalizzazione e di insufficienza del patrimonio a soddisfare tutti i creditori, senza indicare le modificazioni richieste nella ricostruzione del fatto, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., né proporre una lettura alternativa delle circostanze valorizzate dal tribunale, onde il motivo è anche infondato. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la G. s.r.l., sulla base di due motivi. Resiste la S. s.r.l. con contro ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
- – I motivi. Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2467 c.c., il cui dettato riguarda i rapporti tra il socio finanziatore e gli altri creditori, dovendo la norma applicarsi soltanto nei procedimenti esecutivi, in cui essa determina la collocazione deteriore dei finanziamenti dei soci rispetto agli altri crediti, privilegiati e chirografari, che concorrono nella
distribuzione dell’attivo liquido ricavato, quale sorta di privilegio in termini negativi. Ha, dunque, errato la corte d’appello nel ritenere la norma legittimare il rifiuto della società a pagare il suo debito, non avendo il legislatore previsto un divieto per l’amministratore di effettuare il rimborso, come invece in altre fattispecie. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2467 c.c. e 112 c.p.c., per avere la corte del merito ritenuto rilevabile d’ufficio la pretesa inesigibilità del credito derivante dalla postergazione, laddove si tratta di un diritto potestativo della società medesima, al fine di opporsi alla domanda di rimborso, da far valere in giudizio in via di eccezione in senso stretto. 2. – Le questioni. Nel novero dei temi interpretativi sollevati dal nuovo art. 2467 c.c., il ricorso pone due questioni: 1) se la postergazione impedisca alla società e, per essa, al suo organo amministrativo, già nel corso dell’ordinaria attività d’impresa,
di aderire alla richiesta di rimborso del socio, ove sussistano le condizioni in cui la norma dispone la peculiare disciplina, e non solo in presenza di una procedura esecutiva, individuale o collettiva;
2) se, nel corso di un giudizio intrapreso dal socio a fronte del rifiuto di rimborso opposto dalla società, l’applicabilità della postergazione del credito ex art. 2467 c.c. costituisca l’oggetto di
un’eccezione in senso stretto e debba, quindi, essere sollevata dalla società (o dal curatore), da cui si pretenda la restituzione della somma mutuata ex art. 1813 c.c., nel rispetto delle preclusioni di
legge. 3. -Applicabilità alla società in bonis. 3.1. – Reputa il Collegio che la corte territoriale non abbia errato nell’interpretazione offerta dell’art. 2467 c.c. È il tema usualmente prospettato come opzione ermeneutica tra la natura “sostanziale” o “processuale” della postergazione: nel primo caso, la norma troverebbe applicazione già durante la vita della società, riguardando il rapporto tra la medesima e il socio; nel secondo, essa rileverebbe solo in presenza di un concorso in senso tecnico fra creditori, dunque occorrerebbe, secondo alcuni, almeno la fase di liquidazione volontaria o, comunque, che sia in corso l’esecuzione individuale o una procedura concorsuale della società. 3.2. – Secondo i precedenti di questa Corte, non vi è dubbio che la norma operi in presenza di una procedura concorsuale aperta (cfr. Cass. 31 gennaio 2019, n. 3017; Cass. 21 giugno 2018, n. 16348, nel concordato preventivo; Cass. 20 giugno 2018, n. 16291; Cass. 24 ottobre 2017, n. 25163; Cass. 20 maggio 2016, n. 10509; Cass. 7 luglio 2015, n. 14056; Cass. 29 gennaio 2014, n. 1898). La natura sostanziale della postergazione legale, che «incide direttamente sugli effetti del negozio di finanziamento», è stata già ritenuta da questa Corte (Cass. 13 luglio 2012, n. 12003; richiamata da Cass. 17 ottobre 2018, n. 26004, pur dichiarando inammissibile il ricorso), laddove essa ha per ciò escluso la retroattività della nuova disciplina, con riguardo ai finanziamenti concessi dal socio anteriormente alla riforma del 2003; e pur avendone iv i affermato l’operatività nella liquidazione volontaria della società, laddove si pone un problema tecnico di concorso, quale ordine di riparto del patrimonio sociale nella soddisfazione dei creditori.
Altra decisione (Cass. 20 maggio 2016, n. 10509) menziona la procedura concorsuale aperta, in particolare la liquidazione coatta amministrativa di società cooperativa, esaminando la sorte del finanziamento del socio in detta situazione per negare l’applicabilità dell’art. 2467 c.c. a tale tipo sociale. Contiene un passaggio motivazionale in favore dell’applicabilità alla società in bonis un’ordinanza, resa all’esito di regolamento di competenza sulla declaratoria di inefficacia ex art. 2467, comma 1, seconda parte, c.c., attribuita al tribunale fallimentare (Cass. 24 ottobre 2017, n. 25163). In tutti i casi, però, si tratta di obiter dicta, quali passaggi intermedi della motivazione; occorre quindi individuare il principio di diritto, quale specifico oggetto dell’odierno thema decidendum. 3.3. – Sia la lettera, sia la ratio della disposizione, ai sensi dell’art. 12 delle preleggi, conducono alla prima delle ricordate opzioni interpretative. L’art. 2467, comma 1, c.c. parla di rimborso «postergato» rispetto agli «altri creditori», espressione utilizzata per indicare il meccanismo della posposizione del diritto a quelli altrui, non per alludere al momento dell’effettivo concorso procedimentalizzato delle pretese creditorie; come conferma anche la sedes materiae, che è rimasta quella codicistica, pur dopo la rielaborazione del diritto della crisi d’impresa in forza del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Sotto il profilo del fondamento della disposizione, la Relazione alla riforma del diritto societario del 2003 parla di “capitale di credito” formale, contrapposto alla sostanza economica di “capitale proprio”. Gli interpreti concordano nell’affermare che si sia così inteso reagire alla possibile traslazione del rischio d’impresa dalla società al mercato: il finanziamento è “anomalo” o “sostitutivo del capitale”, in quanto un creditore sul mercato del credito non lo avrebbe concesso, o non a quelle condizioni, a causa della situazione finanziaria della società. La ratio legis dell’art. 2467 c.c. consiste dunque nell’intento di contrastare la non infrequente sottocapitalizzazione delle società, quale tecnica di traslazione sui creditori e sui terzi del rischio da continuazione dell’attività in regime di crisi, con eventuale profitto dei soci ed aggravamento del dissesto a scapito dei creditori: fenomeno determinato dalla convenienza dei soci a ridurre l’esposizione al rischio d’impresa, apportando nuove risorse a disposizione dell’ente collettivo nella forma del finanziamento, anziché in quella appropriata del conferimento (cfr. Cass. 20 maggio 2016, n. 10509; Cass. 7 luglio 2015, n. 14056). La disciplina è dettata per le società a responsabilità limitata dall’art. 2467 c.c. e per le società eterodirette dall’art. 2497- quinquies c.c., di rinvio al primo: laddove l’impresa è “tipologicamente” caratterizzata dalla presenza di soci titolari di poteri sulla gestione e di adeguate informazioni, evocandosi il legame tra potere e rischio. Non dissimile tale ratio da quella dell’abrogato art. 2490-bis c.c., il quale escludeva peraltro solo l’efficacia delle cause di prelazione per i crediti del socio unico verso la società, laddove il legislatore della riforma societaria ha inteso dettare una norma di maggior rigore e più vasto ambito applicativo. 3.4. – Il credito del socio, in presenza di un finanziamento concesso nelle condizioni di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto o laddove sarebbe stato ragionevole un conferimento, subisce una postergazione legale, la quale non opera una riqualificazione del prestito da finanziamento a conferimento con esclusione del diritto al rimborso, ma incide sull’ordine di soddisfazione dei crediti. Il legislatore, tra le tecniche disponibili al riguardo, ha escluso invero la riqualificazione del prestito ed optato per la postergazione: non muta ex lege la causa della dazione, che resta quella del mutuo (art. 1813 c.c.) e non diventa causa di conferimento (art. 2343 c.c.). I finanziamenti de quo, pertanto, costituiscono prestiti e non apporti di capitale, alla cui disciplina – rimborsabilità solo all’esito della liquidazione e, quindi, dopo la restituzione anche dei prestiti anomali – non sono soggetti. Nondimeno, l’effetto della postergazione è automatico, non dipendendo da una conoscenza effettiva dello stato della società o dall’intenzione delle parti, ed impone al giudice, richiesto del rimborso, di accertare, sulla base delle risultanze processuali in atti, se la situazione sociale ricada in una delle fattispecie ex art. 2467, comma 2, c.c. Ne deriva che l’integrazione delle fattispecie indicate nel secondo comma dell’art. 2467 c.c. produce effetti negoziali sul diritto del socio alla restituzione della somma finanziata: il credito restitutorio, sebbene eventualmente sia anche scaduto il termine previsto per l’adempimento ex art. 1813 c.c., non è esigibile. La postergazione prevista dalla norma finisce, così, per operare come una condizione legale integrativa del regolamento negoziale circa il rimborso, la quale statuisce l’inesigibilità del credito in presenza di una delle situazioni previste dal secondo comma dell’art. 2467 c.c., con un impedimento (solo temporaneo) alla restituzione della somma mutuata. 3.5. – Ne deriva l’ulteriore conseguenza che la società e, per essa, l’organo amministrativo può, ed anzi deve rifiutare il rimborso del prestito, sino a quando non siano venute meno le predette condizioni: evento, quest’ultimo, che rende nuovamente la società immediatamente tenuta al pagamento al socio di quanto dovutogli in restituzione. Quando, invero, sia stato superato lo squilibrio patrimoniale – e, quindi, la situazione di rischio per i creditori sociali che ne discende e che la norma pone a fondamento della regola di postergazione – il credito del socio ritorna ordinariamente esigibile, sebbene non fossero stati a quel momento adempiuti tutti gli altri debiti sociali: potendosi allora ritenere realizzata una situazione di soddisfazione, sia pure “astratta”, dei creditori esterni e dunque esistente uno status di regolare esigibilità. Se, pertanto, la situazione di squilibrio sia venuta meno al momento in cui alla società sia richiesto il rimborso da parte del socio (ovvero al momento in cui il giudice del merito sia chiamato a decidere, come si dirà), essa è tenuta a provvedervi, non attenendo la postergazione all’esistenza in sé del credito, ma alle condizioni per l’esazione, onde il venir meno di detta situazione, dapprima esistente e quindi atta a rendere il credito non esigibile, comporta il superamento dello stato di inesigibilità. 3.6. – Né vale l’obiezione secondo cui, in tal modo, sarebbe inammissibilmente demandata allo stesso organo amministrativo la valutazione discrezionale circa la situazione di crisi: non è diverso, infatti, da quanto si richiede all’imprenditore che proponga il ricorso di fallimento in proprio, ai sensi dell’art. 6 I.f., o dal generale obbligo imposto dall’art. 2086 c.c., come riformulato dall’art. 375 del d.lgs. n. 14 del 2019. Norma che pone proprio, fra i compiti dell’organo gestorio, quello di predisporre un assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società atto a rilevare la situazione di crisi, nonché la tempestiva adozione di un adeguato strumento per il suo superamento.3.7. – Occorre aggiungere come, nel giudizio avente ad oggetto la condanna della società renitente alla restituzione del prestito in favore del socio, il giudice dovrà accertare se sussista, in concreto, una delle situazioni ex art. 2467, comma 2, c.c.: non solo al momento del prestito (dies storico statico), ma anche al momento della richiesta di rimborso e sino alla pronuncia, trattandosi di una condizione di inesigibilità del credito. Sotto quest’ultimo profilo, invero, occorre ricordare come, laddove sia previsto un termine per l’adempimento dell’obbligazione, ai sensi dell’art. 1184 c.c., esso, quale condizione dell’azione, è sufficiente che sia compiuto al momento della decisione: in tal modo, si afferma, il principio dell’inesigibilità del credito prima della scadenza del termine a favore del debitore risulta pienamente osservato, in quanto la valutazione, operata dal giudice al riguardo al momento di decidere, consente di verificare sotto tale profilo la fondatezza della domanda, con conseguente rigetto della medesima, qualora il termine in questione non fosse a quel tempo ancora maturato (Cass. 25 settembre 2018, n. 22547; Cass. 16 novembre 2001, n. 14429). Del pari, in caso di proposizione della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento prima che si verifichi l’esigibilità della prestazione, se questa diviene esigibile nel corso del giudizio e il convenuto non adempia, egli non si sottrae ad una pronuncia di risoluzione, essendo l’inadempimento una condizione dell’azione che può maturare in corso di causa e fino al momento della sentenza (Cass. 10 giugno 2004, n. 10490; Cass. 20 febbraio 2004, n. 3378). Il principio così enunciato è estensibile dunque alla condizione legale di inesigibilità, costituita dalla sussistenza di una situazione di crisi, come definita dall’art. 2467 c.c., ancora al momento del rimborso del prestito stesso: pertanto, il suo opposto, quale condizione dell’azione, può maturare in corso di causa e fino al momento della sentenza, chiamata ad accertare se si sia ripristinata, sia pure solo in pendenza del giudizio, la condizione di piena esigibilità del credito azionato in giudizio per l’inattualità della situazione di crisi. Ciò, per il principio generale secondo cui, se la prestazione diviene esigibile nel corso del giudizio, è legittima la pronuncia di condanna del debitore tuttora inadempiente, dovendosi ritenere sopravvenuta una condizione dell’azione che, in quanto tale, è sufficiente sussista al momento del provvedere. 4. – Rilevabilità d’ufficio della postergazione. La questione processuale di cui al secondo motivo di ricorso va risolta in senso negativo. L’eccezione in senso stretto si sostanzia in un controdiritto, contrapposto al fatto costitutivo invocato dall’attore, la cui rilevazione è subordinata all’espressa manifestazione di volontà della parte che vi abbia interesse, ed ha carattere eccezionale. Secondo principio consolidato, costituiscono eccezioni in senso stretto, rilevabili ad istanza di parte, quelle che possono essere sollevate soltanto dalle parti per espressa disposizione di legge, ovvero quelle il cui fatto integratore corrisponda all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio dal titolare e, quindi, presupponga una manifestazione di volontà di quest’ultimo (e multis: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27405; Cass. 14 giugno 2018, n. 15591; Cass. 5 giugno 2014, n. 12677; Cass., sez. un., 20 febbraio 2013, n. 4213; Cass. 13 giugno 2012, n. 9610; Cass. 13 gennaio 2012, n. 409; Cass. 20 maggio 2010, n. 12353). I’ Si deve, peraltro, distinguere l’onere di allegazione, che compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal codice rito, dunque soggetto alle relative preclusioni e decadenze, dal potere di rilevazione, che spetta alla parte ed è soggetto alle relative preclusioni solo, appunto, nei casi detti. In ogni altro caso, invece, sono rilevabili d’ufficio i fatti modificativi, impeditivi o estintivi, purché risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito, nel rispetto del principio dispositivo. Orbene, l’eccessivo squilibrio nell’indebitamento o la situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento, quali situazioni previste dal secondo comma della norma in esame – da verificare sia al momento del prestito, sia della richiesta di rimborso e, quindi, in caso di controversia, della decisione giudiziale – costituiscono fatto impeditivo del diritto al rimborso oggetto di eccezione in senso lato, non risultando, con riguardo ad esse, nessuna delle fattispecie, che possano fondarne la qualificazione come eccezione in senso proprio. La qualificazione di “credito postergato” discende dalla sussistenza di oggettive circostanze previste dalla legge e non dall’esercizio di un diritto potestativo della società finanziata, con la conseguenza che si deve escludere la sussistenza di un’eccezione in senso proprio. La sussistenza della condizione di sottocapitalizzazione al momento della concessione del prestito e della richiesta del suo rimborso costituisce un fatto impeditivo all’accoglimento della pretesa creditoria formulata dal socio, il cui fatto costitutivo è integrato dal titolo; ma la deduzione del detto fatto non è oggetto di un’eccezione in senso stretto, che, in quanto tale, possa essere sollevata soltanto dalla società (o dalla curatela) debitrice, onde compete al giudice adìto il potere-dovere di rilevare di ufficio detta situazione sulla base degli elementi introdotti in giudizio e presenti agli atti. 5. – Vanno, in conclusione, enunciati i seguenti principi di diritto: «La postergazione disposta dall’artt. 2467 c.c. opera già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apra un concorso formale con gli altri creditori sociali, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento, sino a quando non sia superata la situazione prevista dalla norma. La società è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del finanziamento, in presenza della situazione di difficoltà economico- finanziaria indicata dalla legge, ove sussistente sia al momento della concessione del finanziamento, sia al momento della richiesta di rimborso, che è compito dell’organo gestorio riscontrare mediante la previa adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società. In caso di azione giudiziale di restituzione proposta dal socio, il giudice del merito è chiamato a verificare se la situazione di crisi prevista dall’art. 2467, comma 2, c.c. sussista, oltre che al momento della concessione del finanziamento, altresì al momento della sua decisione. Lo stato di eccessivo squilibrio nell’indebitamento o di una situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento, prevista dall’art. 2467, comma 2, c.c., è fatto impeditivo del diritto alla restituzione del finanziamento operato dal socio in favore della società, rilevabile dal giudice d’ufficio, in quanto oggetto di un’eccezione in senso lato, sempre che la situazione i predetta risulti provata ex actis, secondo quanto dedotto e prodotto in giudizio». 6. – Le spese vengono interamente compensate, attesa la novità delle questioni poste dal ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa per intero le spese di lite fra le parti. Dichiara che, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 febbraio 2019.
STUDIO LEGALE AVVOCATO FRANCESCO NOTO – COSENZA – NAPOLI