Repubblica Italiana
In nome del Popolo Italiano
Tribunale ordinario di Cosenza
Prima Sezione Civile
Il Giudice, dott. Gino Bloise, ha pronunciato la seguente
Sentenza
ex art. 281 sexies c.p.c.
nella causa civile iscritta al n. 1229 R.G.A.C. dell’anno 2016, promossa
da
S. S. I. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, e M. C. L. G., rappresentate e difese dall’avv. Massimiliano Carnovale ed elettivamente domiciliate presso lo studio dell’avv. Francesca De Marco, in Cosenza, via XXV Maggio n. 74/E, giusta procura in atti;
attori
contro
Banco di Napoli s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Francesco Noto, presso il cui studio, in Cosenza, via Silvio Sesti n. 14, è altresì elettivamente domiciliata, giusta procura in atti;
convenuta
avente ad oggetto: conto corrente bancario – nullità clausole – ripetizione di indebito – mancato esperimento mediazione obbligatoria – improcedibilità della domanda;
conclusioni delle parti: come sopra.
Motivi della decisione
Fatto e diritto
Con atto di citazione ritualmente notificato ed iscritto a ruolo, il S.S. I. s.r.l. ed il suo fideiussore M. C. premettevano di aver intrattenuto presso la filiale di Cosenza del Banco di Napoli l’apertura di credito in conto corrente n. 27/10852 (già n. 27/8668 e n. 16/14), cui erano collegati n. 4 conti anticipi su fatture, avente – alla data del 18.12.2015 – il saldo passivo di € 25.045,76; contestavano quindi tale risultanza contabile siccome derivante da contratti invalidi per difetto di forma, ovvero, in ogni caso, dall’applicazione di prassi e clausole nulle (nell’ordine: l’applicazione di tasso di interesse ultralegale in difetto di valida pattuizione e superiore al tasso-soglia antiusura; la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi; la contabilizzazione non pattuita di una commissione di massimo scoperto trimestrale nonché di una commissione sull’affidato; l’indebita regolamentazione delle valute; l’applicazione di spese ed oneri non pattuiti; l’illegittimo esercizio dello ius variandi); deducevano di conseguenza l’illegittimità della segnalazione delle posizioni in sofferenza presso la Centrale Rischi della Banca d’Italia, anche considerando l’inesistenza di contratto di fideiussione ovvero l’invalidità del medesimo; producevano perizia econometria di parte, concludendo affinché, dichiarate le dedotte nullità, l’istituto di credito convenuto venisse condannato alla restituzione della somma indebitamente percepita, pari ad € 118.000,00 o a quella diversa ritenuta di giustizia, oltre accessori, nonché al risarcimento dei danni patrimoniali e non derivanti dall’illecito commesso, da quantificarsi in corso di causa, ed alla rettifica o revoca della segnalazione a sofferenza, vinte in ogni caso le spese di lite.
Costituitosi in giudizio, il Banco di Napoli eccepiva, nell’ordine: l’assenza di affidamento sul conto principale, ovvero quello contrassegnato dal n. 27/10582, acceso il 02.11.2002, e la conseguente natura solutoria di tutte le rimesse in esso effettuate, ai fini della eccepita prescrizione decennale; la prescrizione quinquennale degli interessi creditori; la decadenza della correntista dalla contestazione delle risultanze degli estratti conto regolarmente comunicati; la regolare stipula per iscritto di tutti i rapporti impugnati, con specifica pattuizione di tassi, commissioni, oneri e spese ed altresì del diritto della Banca di esercitare lo ius variandi; il difetto di prova, e comunque l’insussistenza, di alcun tasso superiore a quelli usurari; la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi siccome esplicitamente prevista, nelle condizioni contrattuali, l’eguale periodicità di capitalizzazione di quelli creditori, in ossequio alla delibera CICR 09.02.2000, rispetto alla quale il contratto era successivo; l’insussistenza di qualsivoglia condotta illecita, tantomeno in relazione alla segnalazione di sofferenza in Centrale Rischi, adempimento dovuto per legge; la piena validità della fideiussione prestata dalla M. e delle clausole in essa contenute, oggetto di specifica approvazione da parte della garante; concludeva quindi invocando il rigetto di ogni capo della domanda, vinte le spese di lite.
All’udienza di prima comparizione e trattazione del 26.07.2016 veniva rilevata la soggezione della controversia, siccome avente ad oggetto “contratti bancari”, a mediazione obbligatoria ex d. lgs. n. 28/2010 e successive modificazioni, ed assegnato il termine di legge per l’espletamento; a quella successiva del 21.02.2017 la difesa della convenuta rappresentava che, nonostante l’attrice avesse promosso la mediazione, non si era poi presentata all’incontro fissato, conclusosi quindi con verbale negativo, invocando, di conseguenza, declaratoria di improcedibilità della domanda.
A scioglimento della riserva assunta in quella sede, il Tribunale, con ordinanza del 28.02.2017, riteneva l’eccezione idonea a definire il giudizio, fissando l’odierna udienza per decisione ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., alla quale, discussa dalle parti l’eccezione, veniva data pubblica lettura del presente provvedimento, successivamente depositato in via telematica.
Ciò premesso in fatto, la domanda attorea deve essere dichiarata improcedibile.
Incontroversa – ed incontrovertibile – la soggezione della controversia – siccome relativa a contratti bancari ed ex art. 5 d. lgs. n. 28/2010 e succ. modif. – a mediazione obbligatoria, risulta per tabulas che gli attori hanno effettivamente promosso il relativo procedimento nei termini di legge, con incontro inizialmente fissato al 23.09.2016, successivamente differito, su richiesta del Banco di Napoli, al 28.09.2016, come peraltro tempestivamente comunicato alle parti (la circostanza, oltre che documentata, non è contestata) dall’organismo investito del procedimento.
Sennonché, all’incontro del 28 settembre non si è presentato nessuno per gli attori, ed il procedimento si è concluso con la redazione di un verbale negativo “per mancata comparizione di parte istante”.
Solo in data 17.10.2016, il difensore degli attori ha comunicato la sua impossibilità a presenziare all’incontro “per un concomitante impegno” (rimasto indimostrato anche in sede di giudizio), chiedendo nuova fissazione, che non è stata esitata dall’organismo di mediazione.
Tale ultima circostanza si spiega tenendo conto del fatto che l’assenza non è stata tempestivamente comunicata né giustificata, di tal ché il procedimento (che ha dei costi) si è concluso con il ridetto verbale negativo, senza possibilità di sua riapertura, dovendosene proporre altro e diverso, cosa che, peraltro, gli attori non hanno neppure provveduto a fare, ove anche ammissibile.
Risulta quindi asseverato che, pur avendolo proposto, gli attori non hanno coltivato il procedimento di mediazione.
Ora, al riguardo, rileva il più recente indirizzo ermeneutico della giurisprudenza di merito, che ha affermato con nettezza l’esigenza che la mediazione, in ossequio alla sua ratio legis, sia effettiva e non si riduca al mero simulacro della sua fase introduttiva.
Si è osservato come, diversamente opinando, si perverrebbe in evidenza ad una interpretazione delle norme del d. lgs. n. 28/2010 tale da giustificare l’esistenza di un diritto potestativo della parte a non dare corso al provvedimento del giudice che ordina la mediazione demandata ai sensi del suo art. 5 comma 2, che appare in evidenza erronea, non potendo tale asserzione in alcun modo essere accettata.
Ed invero, interpretare la legge ritenendo che le parti siano libere di richiedere ma non dare corso alla mediazione, raggiungendo lo stesso vantaggioso risultato (avveramento della condizione di procedibilità) che essa assicura a chi la mediazione ha effettivamente e sostanzialmente esperito, comporterebbe – quale logico corollario – una censura di incostituzionalità per irragionevolezza del dettato normativo.
Sarebbe infatti illogico ritenere che, da una parte, la legge prescriva che per introdurre (o proseguire) la causa occorra che venga esperito il procedimento di mediazione [che, invero, consiste nel complesso delle attività descritte nella lettera a) dell’art.1 nonché negli artt. 8, commi 2-4, ed 11 del d. lgs. n. 28/2010] e, dall’altra, che anche se le parti (ed in particolare il proponente la domanda di mediazione) non diano poi corso effettivo al procedimento (con la conseguenza che, nella realtà, la mediazione non si svolge), essa si consideri comunque validamente esperita e la procedibilità della domanda giudiziale conseguentemente attinta.
Si tratterebbe, in evidenza, di un perfetto ossimoro, atteso che, aderendo a tale accezione, si dovrebbe ammettere che le parti abbiano il diritto potestativo di decidere di non svolgere la mediazione (finanche quando il giudice lo abbia ordinato), ottenendo però il medesimo vantaggioso risultato (procedibilità, assenza di sanzioni per la mancata partecipazione) che se la mediazione fosse stata esperita davvero.
Conclusione questa, palesemente azzardata ed irrazionale, perché comporterebbe di ritenere avvenuta una cosa quando indiscutibilmente essa non lo è. Viceversa, appare inevitabile qualificare come ingiustificata e pregiudiziale la renitenza della parte all’ordine legittimamente dato dal giudice, ed espressione di un volontario quanto ingiustificabile rifiuto aprioristico di sperimentare realmente il necessario percorso conciliativo.
Per completezza, è opportuno interrogarsi altresì se, così interpretata la norma, non si incorra nel rischio (opposto) di prefigurare una sorta di mediazione forzata che l’intervento normativo con le modifiche al testo originario del d. lgs. n. 28/2010 di cui alla novella del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 intendeva invece scongiurare.
Occorre, al riguardo, intendersi sul significato della parola “mediazione”.
Dal punto di vista sostanziale, va da sé che le parti che partecipano all’incontro di mediazione sono del tutto libere di accordarsi o meno, di tal ché, nell’accezione di accordo, conciliazione et similia, la mediazione non può mai dirsi obbligata.
Né dal mancato raggiungimento dell’accordo in mediazione può derivare alle parti o a taluna di esse pregiudizio di sorta, di alcun genere.
Dal punto di vista procedurale, nondimeno, alla domanda se vi sia un obbligo a carico delle parti di partecipazione alla mediazione (intesa questa volta non come accordo, ma come procedura) la risposta non può invece che essere affermativa; come rivela invero tutto il sistema sanzionatorio previsto dalla legge (improcedibilità per la mancata proposizione della domanda, conseguenze negative di cui all’art. 8; possibile applicazione dell’art. 96 comma 3 c.p.c., come riconosciuto dalla giurisprudenza).
Tale interpretazione – che ragionevolmente contempla l’eventuale situazione di inesigibilità della prosecuzione oltre il primo incontro informativo – è perfettamente in linea con la logica, il buon senso e la Costituzione.
Invero salvaguarda le parti dalla necessità dello svolgimento della mediazione (con i costi relativi) nei casi nei quali oggettive ragioni “pregiudiziali” non lo rendano possibile, viceversa imponendolo, tutte le volte che la discussione possa concentrarsi sul merito e sul contenuto del conflitto, senza che uno dei soggetti possa giustificare la sua renitenza con l’opinione di aver ragione e quindi di ritenere inutile dialogare con l’altra parte.
Ne consegue che il rifiuto di procedere e partecipare alla mediazione costituisce la violazione della regola.
E, come per ogni violazione, è la parte che invoca una giustificazione scriminante a doverla quanto meno allegare.
Nondimeno, le conseguenze di tale rifiuto – ingiustificato – di procedere e di partecipare alla mediazione sono, se espresso dall’istante/attore, sovrapponibili alla mancanza tout court della (introduzione della domanda di) mediazione.
Sarebbe infatti un’ulteriore aporia ritenere soddisfatto il precetto della legge in materia di mediazione obbligatoria e demandata dal giudice, ritenendo che sia sufficiente al fine di integrare la condizione di procedibilità la semplice formale introduzione della domanda.
Il legislatore persegue infatti l’obiettivo dell’accordo e della pacificazione e una domanda di mediazione che rimanga monca, senza alcun seguito, non serve a tale scopo.
Ne deve quindi conseguire l’improcedibilità della domanda ai sensi dell’art. 5 d. lgs. n. 28/10, il cui comma 1 espressamente prevede che “l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale; l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza”.
Nel caso di specie, quindi, il difetto della condizione di procedibilità è stato eccepito dalla difesa dell’opposta nel primo momento utile successivo all’ordinanza del 26.07.2016, ovvero all’udienza – di prima comparizione e trattazione ai sensi dell’art. 183 c.p.c. – del 21.02.2017.
Per quanto pur sommariamente evidenziato, quindi, deve accedersi ad una pronuncia di improcedibilità.
Spese e competenze di lite, liquidate in dispositivo in ragione delle sole fasi processuali espletate, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale di Cosenza, nella prefata composizione monocratica, definitivamente decidendo sulla causa in epigrafe, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattese, così provvede:
– dichiara improcedibile la domanda degli attori in ragione della mancata partecipazione degli stessi alla mediazione obbligatoria ex d.lgs. n. 28/2010;
– condanna gli attori in solido alla refusione, in favore della convenuta, delle spese e competenze di lite del giudizio, che liquida in € 1.300,00 per competenze professionali, oltre rimb. forf. 15% spese gen., IVA e CPA, come per legge.
Così deciso in Cosenza all’udienza del 14 marzo 2017
il Giudice
dott. Gino Bloise
STUDIO LEGALE AVVOCATO FRANCESCO NOTO COSENZA